Verkade e l'arte di Beuron tra Papini e Prezzolini
Pubblicato in:: Studium, anno 95°, fasc. 5, pp. 761-773.
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Data: settembre - ottobre 1999
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L'attenzione di Giovanni Papini al mondo dell'arte non si esaurisce esclusivamente nel suo ruolo di scrittore amico di artisti; egli partecipa al procedere intellettuale delle forme artistiche come luogo di riflessione per soddisfare la propria inquieta sete di assoluto. L'arte è intesa come luogo dove poter verificare il proprio itinerario di fede: «Abbandonai l'enciclopedia ma nello specialismo non volevo cascare: il mio dongiovannismo cerebrale mi tirava sempre indietro quando stavo per gettarmi in un solo amore. Ci voleva per me lo sterminato, il grandioso, la totalità delle cose, l'ampiezza dei tempi, la processione dei secoli» (Papini, Un uomo finito, 1913). E la medesima crisi è vissuta anche dal suo sodale Prezzolini, con ben altra soluzione (se di «soluzione» è giusto parlare): «Il Leonardo era stato uno sforzo di educazione personale, fondato sopra un principio di dilettantismo, attuato con ricerche anarchiche, che avevan mendicato al cattolicismo e persino al magismo una soluzione, senza trovarla, perché sempre individuale. Ci voleva, ora, qualche cosa che passasse i nostri individui e toccasse la società e, in un certo senso, s'innestasse con la storia» (Prezzolini, L'Italiano inutile, 1954).
Tra i numerosi artisti e amici che hanno collaborato intimamente con Papini e Prezzolini — tra il Leonardo e la Voce — certo vale ricordare De Carolis e Spadini per non dire di Soffici, il quale con Papini e Prezzolini, chiude la figura di un ideale «triangolo» culturale. (Si tenga presente anche il decisivo «argomento» — dei rapporti sarà necessario ritornare in un prossimo saggio di ricerca — dei rapporti di Papini con Boccioni e De Chirico. Si veda per la
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cura di L. Baldacci, con contributo di G. Nicoletti, Giovanni Papini, Opere, Dal "Leonardo" al Futurismo, Milano 1988, e la recente monografia di C. Di Biase: Giovanni Papini. L'anima intera, Napoli 1999. Quindi, per lo specifico, si veda: M. Calvesi, La metafisica schiarita, Milano 1982; M. Fagiolo dell'Arco, Giorgio De Chirico. Gli anni Trenta, Milano 1991-1995; P. Baldacci, De Chirico. 1888-1919. La Metafisica, Milano 1997).
Tenuto in ombra e proprio ignorato è, invece, Jan Verkade, ovvero don Willibrordo Verkade, nato a Zaandam vicino Amsterdam il 18 settembre 1868 e morto e sepolto a Beuron íl 10 luglio del 1946. Un artista olandese che ebbe l'avventura di vivere vicino a Gauguin e Sérusier, Mogens Ballin, Maxime Maufra e Charles Filiger, tra Pont-Aven e Huelgoat, tra Parigi e Le Pouldu, vivendo la geografia di un simbolismo sincretista, esoterico e intrigato, tra arcaismo cristiano e sollecitazioni alla Edouard Schuré. Un mondo che viene a tradursi nella specificità ecclesiale, nel corso di una formazione iniziatica alla specificità cristologica, per cui da Fiesole a Firenze, da Roma ad Assisi, a Beuron: con padre Desiderius Lenz e Maurice Denis e con Papini e Prezzolini informò una rinnovata spiritualità individuata nella testimonianza evangelica ora di impronta francescana, ora di forte ascetismo benedettino. Il suo personale e originale percorso di conversione si incontra con le esperienze di Papini e Prezzolini e il loro incontrarsi sarà uno specchiarsi e potersi nominare in quel che stavano cercando, in quel che andavano scoprendo di se stessi. Verkade era una reale testimonianza di come nello specifico della ricerca culturale e artistica si potesse pervenire ad un procedimento di conversione, ad una soddisfazione certa della sete di assoluto, di cui scriveva Papini, e poteva essere una indicazione di autenticità alle inquietudini laiche ed agnostiche di Prezzolini/Giuliano il Sofista.
Sia Papini che Prezzolini ebbero sempre grande attenzione e rispetto, affetto e stima, per l'umiltà e la saggezza di questo artista monaco. Così lo ricorda Papini: «Era un giovane alto e magro, con un viso ossuto ma illuminato da una luce insolita, più pura di quella del sole. Era tutto vestito di bianco, con la candida tonaca dei monaci benedettini. Si presentò subito da sé, stupito del nostro stupore, con sorridente semplicità. Era olandese e pittore — continua Papini —, s'era convertito, s'era fatto benedettino ed aveva studiato nel monastero di Beuron, dove si stava tentando di far risorgere la vera pittura sacra dei secoli cristiani» (Papini, Autoritratti
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e ritratti, 1962, per il riordino della Opera Omnia da Mondadori, al vol. IX); e Prezzolini scriveva: «Sentii in lui la bontà dei veri cristiani, che perdonano i peccati degli altri e si pentono dei propri». Prezzolini rimase «affezionato» al monaco artista e così lo descrive: «Era un bell'uomo, alto e dal volto illuminato dal dolce sorriso cristiano, che ho trovato in poche persone e so di non avere [...]. Don Willibrordo è una delle persone che mi ha dato più gioia nell'incontrarsi, nel ritrovarsi, come ora nel pensarci [...] mi pareva che un po' della sua luce pura fosse scesa anche su di me» (Prezzolini, Dio è un rischio, 1979).
Una «luce pura» che rende il valore di una religiosa spiritualità con cui Prezzolini rappresenta, altrimenti, quella che poteva essere intesa come luce di pur limpido naturalismo, alla Vermeer: «Sono stato per alcuni giorni in Olanda», ricorderà Prezzolini in un intervento per L'Ambrosiano, del 13 aprile 1925, avendo ricevuto l'invito di Romano Guarnieri che viene così elogiato: «seguo la sua opera da diciotto anni, sapevo dei suoi risultati, ma il vederli da vicino mi ha commosso e colpito». L'Olanda di Guarnieri, amico di Prezzolini dai tempi del Leonardo, è definita da Prezzolini «terra amica» («L'Olanda è un paese quieto e di intimità») e gli olandesi dovevano mostrarsi a Prezzolini nella «giusta luce» (l'estratto, edito a Torino, dalla rivista milanese, aveva per titolo: Bei giorni d'Olanda). Verkade poteva, dunque, essere ben accolto da un Prezzolíni laicamente privo di pregiudizi e anzi sempre curioso e attento alle novità. Dalla sua amicizia Prezzolini favoleggiò un «racconto-saggio» che in modo ora ironico ora declinando verso l'immaginazione letteraria — e che fece cadere in errore anche Benedetto Croce — rivisitava con la figura di Verkade la medesima questione benedettina dell'arte di Beuron, della congregazione tedesca rispetto alle origini di Montecassino: «Ricavai da lui, dalla sua musicalità, l'immagine d'un mistico olandese Giovanni van Hooghens», raccontava Prezzolini (1976). Il racconto Giovanni van Hooghens venne pubblicato su Prose — numero 1, del 1907 — con lo pseudonimo di «Il Sarto spirituale» (si veda su Leonardo del 1907 il Saggio sulla libertà mistica), che darà poi il titolo alla raccolta omonima edita a Firenze nel 1907 e anche a Perugia nel 1906.
Verkade dalle riflessioni di Papini e Prezzolini emerge come un referente positivo nel cammino della conversione. Prezzolini ha scritto: «Si potrebbe citar il “caso” di don Willibrordo come
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uno dei tanti che avvennero in un tempo in cui io ero giovane e insoddisfatto, come molti, del materialismo, del positivismo, del razionalismo dominanti allora la cultura dei genitori, degli insegnanti, dei pubblicisti, dei conferenzieri. Tutto quello che tentavano di insegnarci fu trovato arido per i nostri desideri, falso per la nostra logica, arretrato per gli studi delle scienze, mal digerito per le questioni sociali. Ci rivolgemmo da varie parti; e io, per mio conto, esplorai la religione di casa, il Cattolicesimo. [...] Ogni amicizia ha una sua storia differente: quella che ebbi con un monaco benedettino, pittore, fu breve e interrotta; eppure ha lasciato nel mio animo un calore celeste». Papini scrive: «In un pomeriggio d'estate, nel mio altissimo studio all'ultimo piano del Palazzo Albizi, stavo leggendo, insieme a Giovanni Vailati, un dialogo di Platone. [...] Quando [Verkade] vide quel che si leggeva esclamò: — Siete ancora rimasti a Platone? Non sapete voi che Platone non ha altro titolo di grandezza che d'essere stato, senza saperlo, un profeta di Cristo? Platone è l'asina di Balaam della Grecia pagana: se non avesse preparato San Giovanni e Sant'Agostino si potrebbe buttare senza rimorsi al macero. [...] Una tale apostrofe sbalordì forte me e Vailati che si leggeva Platone per ben diverso scopo. [...] Tutt'e due perciò si prese le difese di Platone eroe del pensiero puro. Ma Don Willibrordo, infocato di recente amore come un cavaliere del Graal, non si arrese ai nostri argomenti — Platone non è che íl riverbero mediterraneo del nichilismo indiano». E Papini così lo descrive: «Gli occhi di Don Willíbrordo scintillavano; la sua parola era sicura e sonora. Tutto chiuso nella sua clamide candida sembrava un arcangelo redentore, piovuto dal cielo per riagguantare due reprobi che stavano per precipitare nell'abisso». E lo stesso Verkade farà cenno all'incontro con Papini e Vailati intenti a studiare Platone — così come ricorderà l'incontro a Milano con Prezzolini — nel suo Der Antrieb ins Vollkommen, in edizione della Herder a Freiburg, nel 1933 (a p. 132). Papini scrive che quell'incontro con Verkade «fu quello, forse, il primo tentativo di Dio per tirarmi a sé. [...] La strana apparizione del monaco pittore non fu inutile. Qualche tempo dopo, mentre scrivevo il capitolo per il Crepuscolo dei Filosofi, mi rammentai del consiglio di Don Willibrordo e, per la prima volta, lessi dal principio alla fine í Quattro Evangelisti. [...] Rividi più volte il nuovo amico, che divenne amico di amici miei. [...] Tutti gli volevan bene perché mai s'era incontrato, prima di allora, un
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monaco di così generosa intelligenza, dove poesia e santità parevan bruciare insieme d'un solo fuoco».
Del rapporto di Willibrordo Verkade con Papini e Prezzolini si conservano alcune testimonianze epistolari, a conferma di quanto già letto dagli scritti di Papini e Prezzolini. (Riguardo a Prezzolini si veda: Archivio Prezzolini, Inventario, a cura di F. Pino Pongolini e D. Rüesh, Biblioteca Cantonale, Bellinzona, Dipartimento della Pubblica Educazione, Lugano 1989, p. 166, e a Papini: Inventario dell'archivio Papini, a cura di S. Gentili e G. Manghetti, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1998, p. 259).
Verkade comprende l'intima natura filosofico-religiosa del processo di conversione di Papini: si discute di condizione spirituale e materiale e dei maestri Agostino e Anselmo, si discorre degli amici che hanno in comune, da Vailati ad Assagioli, a Prezzolini, si chiedono riproduzioni di Giotto e Orcagna e si ringrazia per un numero del Frontespízio: alcune delle lettere e cartoline si datano tra il 1905 e íl 1906 fino al 1921 e 1926 e 1932 e 1934. In modo confidenziale da Vienna nell'agosto del 1905 Papini apostrofa: «Caro gian Falcone! Pax, Vita, Idealitas, spirituale gaudium» (Archivio della Fondazione Primo Conti. Archivio Giovanni Papini; Fiesole).
Verkade risulta altresì silenzioso protagonista negli scambi epistolari tra Papini-Prezzolini-Assagioli-Soffici. Verkade diventa un esempio di quelle referenze «altre» in chiave europea nella Firenze del Leonardo e della Biblioteca Filosofica, del Circolo di Filosofia, a Piazza Donatello, e di Arturo Reghini e Guido Ferrando (di Eugenio Garin si veda: La Biblioteca Filosofica di Firenze, in AA.VV., Le Biblioteche Filosofiche Italiane, Torino 1962). «La prego di scrivere a Prezzolini — scrive Roberto Assagioli a Papini, da Engelberg il 13 agosto del 1905 — che ho per lui una lettera di Don Willibrordo che gli interesserà più delle mie e che gli invierò [...] appena crederà opportuno di farmi sapere il suo indirizzo». E Papini il 16 agosto da Rimini risponde: «Mi risponda subito [...] dicendomi se Willibrordo è ancora a Beuron». E ricevuto l'indirizzo, Assagioli scrive a Prezzolini (il 26 agosto del 1905): «Da alcuni giorni ho ricevuto una lettera da Don Willibrordo nella quale erano acclusi il foglio che vi trasmetto ed una presentazione per me al priore del convento benedettino di Engelberg» e Prezzolini «a tamburo battente» risponde (il 30 agosto da Perugia): «Grazie della pagina del buon Will.(ibrordo). Fui a S. Francesco di Fiesole
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dove q.V.D. ebbe accoglienza fraterna dai frati. Peccato che la cosa sia passata! Don Will.(ibrordo) è una voce del terzo atto che si fa sentire al quinto». L'anno a seguire, il 12 aprile del 1906, Prezzolini scrive ad Assagioli: «Vedrò presto Willíbrordo, al mio ritorno, in maggio» e Assagioli il 22 aprile del 1906 scrive a Papini di aver conosciuto un amico, artista e monaco benedettino, di Verkade: «Ho conosciuto un simpatico pittore benedettino olandese, amico di Willibrordo» (per le citazioni si veda: Carteggi, 1904-1974. Roberto Assagioli-Giovanni Papini, Roberto Assagioli-Giuseppe Prezzolini, a cura di M. Del Guercio Scotti e A. Berti, Edizioni di Storia e Letteratura e Dipartimento dell'Istruzione e Cultura del Canton Ticino, Roma-Lugano 1998).
Certamente la conoscenza di Verkade conduce — come è documentato — Assagioli a Montecassino, dove con padre Lenz si sta lavorando alla decorazione del sepolcro in cripta di S. Benedetto e S. Scolastica, e aiuta Prezzolini che va ad incontrare Denis a Fiesole (1907) a realizzare l'importante saggio in due puntate su l'arte di Beuron (su Vita d'Arte del 1908). E dalle lettere tra Prezzolini e Soffici e tra Soffici e Papini si evince un comunque silenzioso presiedere di Verkade ai dissidi tra í tre amici: soprattutto tra Prezzolini e Soffici. Soffici scrive a Papini: «L'articoletto di Prezzolini su Beuron. Riguardandola bene quell'arte fa vomitare. Le teorie di quel padre Lenz sono di una imbecillità che mi pare impossibile che P.(rezzolini) possa ripeterle anche solo per condannarle. Spero che dopo il suo soggiorno a Milano e dopo aver visto i miei quadri avrà capito che non siamo gente da stare a braccetto, il Sig. Lenz e io!» (5 o 6 ? - aprile del 1908). (G. Papini-A. Soffici, Carteggio, vol. I, 1903-1908, Dal “Leonardo” a “La Voce”, a cura di M. Richter, Edizioni di Storia e Letteratura, Fondazione Primo Conti, Roma-Fiesole 1991). Con gli interventi saggistici di Prezzolini su Lenz e dunque su Verkade e la loro arte il pittore-monaco diventa ora il simbolo di un contenzioso anche violento nel dibattito storico-critico.
Lo stesso Giovanni Papini, così amico e partecipe della vicenda di convertito del pittore-monaco Verkade, prende posizione in modo negativo sulle teorie e le pratiche artistiche della scuola di Beuron: «Ho visto anch'io l'artic.(olo) su Beuron e son disgustato delle figurine di quei frati. L'ho scritto anche a Prezz.(olini). Mi ricordo di aver visto delle illustraz.(ioni) dei Vangeli o di libri devoti fatte da artisti oscuri eguali a quelle, con quei visini onesti e insignificanti
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e la pretenziosità della composizione profonda e mistica» (25 agosto del 1908). La medesima posizione negativa al riguardo dell'arte beuroniense, se non nella violenta replica di Soffici («frati che pigliano delle cantonate confondendo l'estetica del “The Studio” con l'arte egiziana», lettera del 28 agosto 1908 a Papini), forse in accordo culturale con Papini, la si riscontra in don Giuseppe De Luca (si veda di M. Apa, Jacques Maritain, Don Giuseppe De Luca e l'arte moderna, in L'Estetica oggi in Italia, a cura di G. Galeazzi, Città del Vaticano, Roma 1997). Prezzolini così risponde a Soffici, nel marzo del 1908: «Caro Soffici, non hai capito cioè non ti ho fatto capir bene; quel che mi interessava in Beuron, è di vedere quella sorta di astrologia e cabbalistica estetica che tu e Canudo sostenete, portata con molto maggior logica della vostra alle sue conseguenze estreme. E di qui capirai che io non preferisco affatto Beuron a Gauguin, o le teorie di (Beuron) alle vostre! anzi! Soltanto io amo la libertà e cerco di comprendere tutte le vie, più di quel che tu non faccia malgrado l'ammirazione per Walt Whitman, e non me la sento punto di cacciare fra i non-artisti quelli che non hanno dipinto come piace a voi e ai monaci di Beuron. E questa rassomiglianza fra Beuron e le teorie di Gauguin, Sérusier, Cèzanne ecc., è tanto vera che perfino Willibrordo (Verkade) sentita, lui che fu, più di te, amico, compagno, collega di Gauguin a Pont-Avent. E non parliamone più per carità! Addio. Tuo aff. Giuseppe Prezzolini» (G. Prezzolini/A. Soffici, Corteggio, I, 1907-1918, a cura di M. Richter, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1977).
La precisa e argomentata risposta di Prezzolini, al di là della difesa di un metodo di indagine che elimina pregiudizi e «partiti presi» e al di là delle interne polemiche, insite nella preparazione di una mostra «francese» a Firenze, che conduceva Prezzolini e Soffici, tra l'altro, a incontrarsi con Denis: altro grande amico di Verkade con cui fu assieme sia a Fiesole che a Montecassino e a Beuron (si vedano per í rapporti di Soffici con Denis e la cultura francese: M. Richter, La formazione francese di Ardengo Soffici, Milano 1969; L. Cavallo, Soffici. Immagini e documenti (1879-1964), a cura di L. Cavallo, V. Soffici, O. Nicolini, Firenze 1986; J. Rodriguez, La réception de impressionnisme à Florence en 1910, Venezia 1994); essa inoltre potrebbe essere il segno del valore di un «privato» che si coglie nello stile non tanto perentorio quanto «definitivo», che non ammette replica perché non accetta la possibilità
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di un «dibattito». E ciò che non cade nel dibattito è proprio della intimità, della propria coscienza individuale.
Prezzolini intende quasi preservare dalla aggressività dell'amico e del «sistema sociale e culturale» che personifica una «questione privata» che non poteva esaurirsi nel sociale-culturale. Al di là del vociare dei vicoli nella cittadella dell'arte e della cultura, Prezzolini sembra voler stabilire una custodia di silenzio religioso per una propria personalissima riflessione e meditazione. Un «vuoto meditativo» che dalla amicizia con Verkade lo condurrà al dialogo con papa Paolo VI, dalla «cristianità» del suo amato Novalis lo porterà alla silloge degli scritti Dio è un rischio. La presenza di Verkade permette anche di rivalutare il percorso e la riflessione religiosa di Prezzolini-Giuliano il Sofista all'interno delle elaborazioni sul Leonardo (ad esempio: Nutrizione del digiuno, 1905) e per Cattolicismo rosso (1908) e Cos'è il Modernismo? (1908). Ed è del 1905 — sul Leonardo — il testo di Prezzolini/Quodvuetdeus L'esperienza del Cristo, in cui scrive: «Questo donarsi che è un acquistare, questo finire che è un principiare, questo abolire, ghigliottinare l'io che è un risorgere e un vivificarsi, conosce anche i caratteri della terribile esperienza del Cristo. [...] Chiamare, gridare, volere e volere disperatamente entro di sé, in tutta la sua realtà, dalla Sua parola fino al suo calice amaro, dalle Sue gioie fino alle Sue piaghe Gesù Cristo». Il laico Prezzolini entrava con attenzione nello specifico della vocazione, della «chiamata» alla Testimonianza: ed è ciò che precisamente concerneva la «questione» da custodire rispetto all'aggressività di Soffici.
Si tenga inoltre presente l'ambiente e il contesto in cui si muovevano Prezzolini e i suoi amici e collaboratori, negli anni in cui era evidente il coinvolgimento da parte di tutti gli intellettuali nel dibattito su e per il modernismo (M. Ranchettí Cultura e riforma religiosa nella storia del Modernismo, Torino 1963; L. Bedeschi, Il Modernismo italiano. Voci e volti, Milano 1995, M. Guasco, Modernismo, cit.). E anche le questioni dell'arte e dell'arte sacra erano tenute in conto in tale dibattere. È indicativa la presenza del padre barnabita Alessandro Ghígnoni e dello studioso Ugo Monneret De Villard, entrambi coinvolti nel «dibattito» sulla scuola di Beuron. Con padre Minocchi di Studi Religiosi — amico di Papini che gli dedicherà un bel ritratto: Il prete modernista — Monneret fu in rapporto con Assagioli e Prezzolini, tenne una conferenza a
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Firenze nella Biblioteca Filosofica di piazza Donatello — al numero cinque, il 2 dicembre del 1906 — sul tema della Architettura mistica (doveva intitolarsi: Psicologia delle Cattedrali gotiche, in perfetto «stile magico-psicologista») — e riguardo al «dibattito» (o, meglio, alle polemiche) sorto all'intervento di Prezzolini su Beuron, i1 29 aprile del 1908, Ugo Monneret de Villard così scriveva a Prezzolini: «Caro Prezzolini non so davvero quale uomo dalla fervida immaginazione abbia potuto pensare che io ritenessi quale attacco personale l'articolo sulla scuola di Beuron; non so davvero ritrovare quale mia parola possa aver dato appiglio a tale fandonia. [...] Posso al massimo aver detto che non ritenevo i monaci di Beuron per dei grandi artisti, giacché in verità non lo sono punto, ma che mi interessavano molto» (la intera lettera è riportata nella Corrispondenza Monneret-Prezzolíni (1905-1911) dall'Archivio Prezzolini-Biblioteca Cantonale di Lugano, per la cura di A. Botti, su Fonti e Documenti, nn. 11-12, Urbino 1982). E Giovanni Papini «era certamente» colui che con «fervida fantasia» aveva così apostrofato Prezzolini (p. 123, nota 1): «Monneret ha preso il tuo articolo per un attacco», scriveva Papini a Prezzolini il 9 aprile del 1908 (Papini/Prezzolini, Storia di un'amicizia 1900-1924, per la cura di G. Prezzolini, 1966, p. 193), come ricorda Alfonso Botti presentando la lettera di Monneret a Prezzolini.
Ghignoni anche lui fu coinvolto dalla scuola di Beuron con le notizie del cantiere di Lenz e comunità, tra cui padre Verkade; desiderò fare un saggio e si recò appositamente a Montecassino. Del 27 marzo del 1908 è una lettera indirizzata a Prezzolini da parte di Giovanni Amendola — vicino al Vannicola «musicista» che con Assagioli fu tra i primi ad essere avvicinato da Verkade per giungere a Prezzolini e Papini — in cui scrive: «Ho incontrato l'altro giorno Padre Ghignoni, il quale mi ha detto di essersi recato espressamente a Monte Cassino per raccogliere gli elementi di un articolo sull'arte di Padre Lenz, ch'egli intendeva pubblicare su “Vita d'arte”. Ma a Monte Cassino gli hanno detto che lo stesso art. lo stava scrivendo lei e, credevano, per la stessa rivista. Padre G.(hignoni) mi ha chiesto di domandarle se veramente lei prepara l'art. per “Vita d'arte”, onde egli possa regolarsi. A me sembra di rammentare che lei mi disse a Firenze qualche cosa di simile, ma non rammento con certezza» (G. Prezzolini, Amendola e La Voce, Firenze 1976). L'anticipo di Prezzolini su padre Ghignoni,
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al riguardo del saggio da farsi su l'arte di Beuron, va letto anche come accertamento della lettura che Prezzolini andava facendo del modernismo e del ritorno alle origini sacre e arcaiche con íl canto Gregoriano e l'arte sacra, a Beuron.
Nel suo Cos'è il Modernismo? del 1908, medesimo anno del saggio su l'arte di Beuron, Prezzolini scrive: «Senza troppa immodestia io posso chiamarmi uno “specialista del Modernismo” in Italia. [...] Uno dei pochi che abbia seguito con interesse e quasi direi con affetto, questo movimento, fin dai tempi della sua oscura immaturità», e nell'elenco delle personalità che egli disegna, un flash è riservato anche a padre Ghignoni, quale «sospetto modernista», scrive Prezzolini, specificando che padre Ghignoni «del Modernismo s'è serbata la parte estetica, le relazioni cioè con l'arte».
In effetti padre Ghignoni, proprio con il più ben compromesso padre Semeria, aveva tenuto lezioni a Genova, nel 1897, e proprio su storia dell'arte e il sacro. Le lezioni verranno elaborate e pubblicate a Roma nel 1903 da Federico Pustet: Il Pensiero cristiano nell'arte, questo il titolo che sintetizzava le lezioni alla «Scuola di Religione»: «Non tanto ho riguardato l'arte — scriveva Ghignoni nel suo manuale — nel cristianesimo, quanto il cristianesimo nell'arte, negli atteggiamenti artistici ho cercato di indagare gli atteggiamenti religiosi. Quindi il cristianesimo ho voluto elemento primario; elementi subordinati: l'arte, l'archeologia e in genere l'erudizione». Il suo libro viene recensito appropriatamente da Studi Religiosi, nel 1903, la rivista di padre Semeria e padre Minocchi — su cui Papini scriverà un bel ritratto: Un prete modernista e di cui si conservano belle lettere nel suo archivio fiesolano, alla Fondazione Primo Conti —: «Le letture del P. Ghignoni — redige il recensore al libro — formano un'apologia del cristianesimo sotto il punto di vista dell'arte». Tra i manuali di Francesco Kraus e di Leandro Ozzola, il «moderno» di Ghignoni celebra la storicità dell'arte cristiana che sovravanza e si sostituisce all'arte pagana. Tale «modernità di apologetica» viene ad essere assente in Prezzolini che, di contro, come si è visto difende gelosamente «l'intimità» del fare arte sacra (rinnovata) da parte di padre Lenz e padre Verkade, a Montecassino come a Beuron. I «dipinti neo-primitivi» di Verkade, come scrive Prezzolini (in Il tempo della Voce, Firenze/Milano), accompagnano il tentativo di rinnovare «la pittura bizantina tentato a Montecassino da quei monaci con canoni
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e misure fisse» e quindi, nostalgicamente, Prezzolini scrive: «Le sue lettere (di Verkade) mi piacciono ancora, quando le rileggo mi resuscitano quelle incertezze, quelle aspirazioni, quelle vaghezze così lusinghiere e carezzevoli per il mio spirito, che s'immaginava di essere leggero e un pochino angelico».
Prezzolini e Papini vengono dal mondo magico-animistico e trovano similari eppure differenti soluzioni alle loro ansie e inquietudini esistenziali-culturali: l'arte e l'amicizia con padre Verkade riflettono la loro medesima aspirazione e la differente modalità di verifica di tale aspirazione. In Papini riflettono ulteriormente il suo dissidio, dopo un profondo sodalizio, con gli artisti del Futurismo, prima, e della Metafisica nascente, dopo: tra Bocciarli e De Chirico, Papini sembra invaghirsi di Verkade.
Nel Mio Futurismo (1913) Papini si fa carico del mondo e vuole radicalmente mettere a nudo ipocrisie e volgarità: «Io sono Futurista perché Futurismo significa accettazione completa della civiltà moderna, con tutte le sue meraviglie gigantesche, le sue fantastiche possibilità e le sue tremende bellezze [...] perché sono stufo degli idilli critini, dei sentimentalismi bamboleschi delle tappezzerie bizantine, della falsa profondità della serietà filistea, delle canzoncine armoniose, della musica piacevole, dei quadri graziosi, della pittura fotografica, decorativa, aneddotica e ruffiana». A tale inquieta insoddisfazione per la condizione sociale dell'arte e del fare arte, si accompagna la necessaria puntualizzazione della psicologia mistica: «Non sarebbe difficile un'Arte del miracolo, com'io la penso, non sarebbe difficile, ora che gli studi sulle antiche religioni, sui grandi mistici, sulle scuole occulte e sulla medianità accennano a rifiorire e ogni giorno offrono nuovi documenti e nuove teorie nell'esploratore dell'anima» (da: Arte del Miracolo, in Il Pragmatismo del 1913). E ancora: «La solitudine, il silenzio, la castità, il digiuno sono le preparazioni necessarie dei poteri straordinari. [...] Occorrono gli stati di esaltazione speciali di queste forze interne — gli stati di preghiera, di estasi, di trance, di rapimento, di comando in cui la fede crea la realtà, in cui l'amore ci fa unir colle cose, in cui la volontà concentrata e potente plasma direttamente l'universo».
La «via mistica» diventa propedeutica alla via della conversione, fino alla consapevolezza della luce nella notte della Verna. Papini diradando le nebbie di un latente e pur brillante sincretismo, diversificato da quello estetizzante di un Carlo Placci (su cui
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si veda l'intervento di Claudio Pizzorusso all'importante catalogo della mostra Carlo Placci e l'arte francese del primo novecento, per la Biblioteca Marucelliana a Firenze, nel luglio del 1977. Si veda, altresì, lo studio di Fabio Finotti: Una «ferita non chiusa», Firenze 1992, quinto volume della Biblioteca della Rivista di Storia e Letteratura Religiosa), giunge alla concretezza corporale della testimonianza cristiana: «Dopo il fallimento scettico della mia Aufklärung ero tornato con una certa simpatia verso le fedi — anzi verso il Cristianesimo, verso il Cattolicesimo. Avevo riletto i Vangeli per cercarvi Cristo; ero rientrato nelle chiese per trovarci Iddio» (da La conquista della divinità. Si tenga presente che la Storia di Cristo è del 1921, la Antologia della poesia religiosa italiana del 1921, Un uomo finito era del 1913).
Nella raccolta La corona d'argento Papini ristampa — 1941 — L'arte come responsabilità: «In verità l'artista, l'artista autentico e consapevole, è il meno libero degli uomini. Nessun altro al di fuori del sacerdote, è carico di responsabilità al pari di Lui. E in queste servitù liberamente ed eroicamente accettate risiede la sua vera grandezza», e sembra di veder riecheggiare in queste affermazioni i colloqui con Guitton di papa Paolo VI: «Ritengo che tra prete e artista esista un'affinità; di più, una meravigliosa possibilità di intesa. [...] L'artista rende accessibile il mondo spirituale ma ne conserva il carattere inesprimibile, l'alone di mistero. [...] Se venisse a mancarci il supporto degli artisti íl ministero sacerdotale mancherebbe di sicurezza» e quindi concludendo iI ragionamento Paolo VI dichiara a Guitton: «Sì, per esprimere appieno il mistero della bellezza, che è l'intuizione, bisognerebbe far coincidere il sacerdozio con l'arte» (da: Dialoghi con Paolo VI, J. Guitton, Milano 1986).
Visualizzando la equivalenza del sacerdote con l'artista, vale quanto Carlo Betocchi scriveva di Papini e Rebora: «Come nell'insistente ricerca dell'Uomo Finito di Papini deduce la sua vita una nuova prosa spirituale (d'onde il salubre e insieme insidioso fascino di questo libro), così, la metrica dei testi lirici del Rebora e di alcuni altri, se si palesa in quella prima inesperienza, di tradizionalmente sensitiva che era, si fa spirituale» (da Il Frontespizio dell'aprile 1937). Poeta e artista, artista e poeta e sacerdote: monaco: «Fu contento di trovarsi con un benedettino. Mi ricordò infatti che uno dei suoi più grandi amici di gioventù era stato il benedettino dom. Willibrordo Verkade, monaco di Beuron. Un artista
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di cui Prezzolini scrive assai bene», racconta padre Pietro Elli, ricordando le sue visite a Lugano all'anziano Prezzolini (da: Benedictina del 1983).
Verkade tra Papini e Prezzolini testimonia di questa confusa e felice stagione, di come quando una «città come un adolescente» fiorisce alla brezza dell'aurora.
Per la stesura di questo breve saggio — parte di una ampia ricerca di prossima pubblicazione —, desidero ringraziare la direzione e il personale dell'Archivio Papini, presso la Fondazione Primo Conti di Fiesole, Firenze, e l'Archivio Prezzolini presso la Biblioteca Cantonale di Lugano. Un ringraziamento alla dottoressa Diana Rüesch e alla dottoressa Manuela La Cauza.
Un particolare ringraziamento al prof. don Lorenzo Bedeschi, Bologna; al prof. Gastone Mosci, Urbino; un particolare ringraziamento per la testimonianza datomi da Romana Guarnieri, a cui con affetto e stima dedico questo piccolo intervento «olandese».
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