Articoli su Giovanni Papini

2023


Zsuzsanna Tóth-Izsó

rec. Giovanni Papini, I racconti

Pubblicato in: oblio 47, anno XIII, pp. 528-530
(528-529-530)
Data: giugno 2023



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Il volume rappresenta un nuovo passo nel processo di riabilitazione di Giovanni Papini (1881- 1956), autore fiorentino contraddittorio e dimenticato.
L’ultima riedizione di un’opera papiniana è stata per Mondadori Un uomo finito nel 2016, nella cui introduzione Marco Corsi scrive: «Un uomo finito conferma il valore e la talentuosa spregiudicatezza di un genio autodidatta, audace nel rivendicare per sé il più vasto orizzonte d’impresa e d’azione, invischiato nella fitta rete del suo tempo, mai del tutto capace di liberarsi dalle pastoie reazionarie della storia, ma così profondamente determinato nelle sue convinzioni da riuscire a superare la prova del tempo» (p. XXIX). Ne sono la dimostrazione chiara anche le “novelle metafisiche” riunite nel vasto e prezioso volume di Edizioni Clichy. Pur non essendo una vera e propria edizione critica, questa antologia minuziosamente curata non solo arricchisce significativamente la letteratura critica su Papini, ma punta addirittura a mettere sotto una nuova luce la sua vasta attività letteraria, richiamando l’attenzione sul significato storico-letterario dei suoi racconti. La prefazione di Vanni Santoni, l’introduzione e le note del curatore Raoul Bruni e la postfazione di Alessandro Raveggi messe insieme (una cinquantina di pagine) varrebbero in sé un’edizione critica di grande interesse.
Chi conosce almeno superficialmente la vita e l’opera di Papini, detto anche “la belva di Firenze”, non si sorprenderà quando darà il primo sguardo alla copertina dai colori quasi violenti (rosso, nero, bianco), e sicuramente non si sorprenderà neanche quando leggerà le parole di Santoni riguardo le proprie letture: «Lo specchio che fugge, a cui diedi una chance immediata in virtù di sittanta compagnia era… strabiliante. Ebbene sì. Non men che strabiliante. E chi adesso sta leggendo queste parole, e ha quindi in mano questo volume, sappia che l’esperienza che sta per attraversarlo, non appena comincerà la lettura, va ben oltre quella che feci io un quarto di secolo fa: qua i racconti di Papini ci sono tutti» (p. 10). Santoni parla della strabiliante ed «elettrica poetica» (p. 10) dell’autore fiorentino, «ingiustamente dimenticato» secondo Borges, «indegnamente disprezzato» secondo Carlo Bo e apprezzato da Montale come «una figura unica, insostituibile, a cui tutti dobbiamo qualcosa di noi stessi».
Come già accennato sopra, il volume non è semplicemente una raccolta organizzata di tutti i racconti di Papini, completata dalle prefazioni e note dell’autore stesso (di grande importanza critica), ma rappresenta un significativo momento di riscoperta. Lo scrittore fiorentino era stato attivissimo come fondatore e collaboratore di riviste, quali il «Leonardo», «La Voce» e la filofuturista «Lacerba», che diverranno punti di riferimento nella vita letteraria e culturale italiana all’inizio del Novecento. Papini incontrò personalmente vari personaggi di spicco dell’epoca, come William James, Bergson, Nietzsche, Romain Rolland, Picasso, Sorel e Péguy (incontri raccontati in Passato remoto). Più tardi la conoscenza di Mussolini (avvenuta ben prima dell’attività politica del futuro “duce”) e l’adesione al fascismo, nonché la conversione religiosa apparentemente improvvisa (con grande sorpresa e forse anche con delusione dei suoi fans), certo non favorivano alla sua reputazione, anzi dall’inizio degli anni Sessanta subiva una sorta di damnatio memoriae: «dopo


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essere stato protagonista delle nostre scene letterarie per vari decenni, Papini iniziava a essere rimosso dal canone letterario» (p. 21), osserva acutamente il Bruni. Non c’è dubbio che nel dopoguerra l’ombra della compromissione con il regime fascista abbia oscurato certi aspetti altrimenti rilevanti della sua attività letteraria, ma, anche grazie alla pubblicazione di questo eccellente volume, sembra maturare il tempo perché questi aspetti siano rimessi in luce e riconosciuti per quanto meritino.
Di Papini è nota la capacità di grande ‘stroncatore’, ma anche e soprattutto quella di formatore di idee (oggi lo definiremmo un vero influencer), saggista, polemista e scrittore di filosofia, ma, come scrive Santoni: «Giovanni Papini è invece, e prima di tutto, un grande narratore e, nello specifico, un grande, grandissimo raccontista fantastico - anzi, il supremo raccontista fantastico italiano, e come tale va valutato e storicizzato» (pp. 10-11). Bruni richiama la nostra attenzione sull’osservazione di Italo Calvino, per il quale con la raccolta di racconti Il pilota cieco (1907) Papini indicò «il momento in cui il fantastico italiano si stacca dai modelli ottocenteschi e diventa un’altra cosa» (p. 13), per divenire «il primo autore della nostra letteratura a entrare nel canone europeo del genere» (ibidem). Ma Papini deve la sua fama mondiale soprattutto a Borges che, nella collana da lui curata La biblioteca de Babel, l’ha affiancato a nomi prestigiosi come Jack London, Kafka, Oscar Wilde, H.G. Wells o anche Poe (vedi il vol. 2, Giovanni Papini, Lo specchio che fugge, 1975). In contrasto con la tendenza dominante del “fantastico esterno” (Poe), Papini crea il genere del “fantastico interno”. Nei suoi racconti, le situazioni agghiaccianti del mondo esterno vengono sostituite da brividi interni, che non sono però meno efficaci, anzi, penetrano molto più in profondità nei recessi della psiche. I protagonisti di queste storie spesso assurde o bizzarre sono per lo più persone comuni. In questo senso, nella sua prefazione a Il tragico quotidiano - che secondo Bruni è uno dei più originali manifesti del fantastico di inizio secolo - Papini anticipa in realtà le idee di Freud sull’ambivalenza Heimlich (“abituale, familiare”) e Unheimlich (“perturbante”). Nei racconti succede che eventi straordinari, ‘verticali’ interrompano la vita ‘normale’ vissuta ‘orizzontalmente’. Ecco le parole di Papini da L’orologio fermo alle sette, in cui parla della vita monotona e vuota della gente comune che però ogni tanto viene interrotta da eventi fantastici: «La maggior parte del tempo la mia vita è vuota, ordinaria, comune, piena di uggia inespressa e di stupide gioie, di progetti casalinghi e di povere fantasie [...] Ma io so che non questo soltanto c’è nel mondo e che non solo in questa povera forma si manifesta l’esistenza. [...] Non vengono spesso, quei momenti, ma giungono con la regolarità di una congiunzione celeste. [...] in questi istanti così brevi, così fuggenti, io vivo assai più cose che in tutto il tempo che corre tra un passaggio e l’altro» (pp. 146-147). Al contrario, in alcuni racconti succede che persone apparentemente del tutto ordinarie conducono una vita segreta e in un certo senso ‘superiore’. È quello che succede ne Il più grande scrittore: «Chi lo vede per la strada e di lui non sa nulla lo giudica uno di quei contabili erranti che noleggiano a due o tre per volta le ore della giornata a quelli che non possono stipendiare un ragioniere stabile e diplomato. Ma sbagliano. Primasso si occupa di affari, ma non in quel modo, e la sua professione segreta è ben altra» (p. 456). A questo punto si potrebbe evocare il pensiero di Erich Fromm, secondo il quale la vita umana si muove tra due poli, la routine quotidiana e gli eventi drammatici. Quest’ultima situazione può spezzare il lento fluire della vita ordinaria e farne uscire l’uomo. Entrambi i poli sono necessari per una vita umana completa. Papini in questi racconti descrive in modo straordinario questo fenomeno psicologico. Seguendo ancora l’originalità di tale filo psicologico, il curatore del volume ci conduce a un’altra novella, La vita di nessuno, che racconta la storia di un feto che diventa geloso del padre («La prima gelosia della vita l’ho provata in quegli istanti. Son giunto a odiare mio padre prima di conoscerlo. La sua brutalità mi ripugnava. Egli agiva come se io non esistessi; come se la madre mia fosse soltanto sua moglie»), in cui si avverte – di nuovo – l’eco delle teorie di Freud sulla sessualità (Tre saggi sulla sessualità è del 1905), delle quali Papini era probabilmente venuto a conoscenza attraverso la mediazione dello psichiatra-psicologo Roberto Assagioli, collaboratore, amico e corrispondente soprattutto all’epoca


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del «Leonardo»: «si deve, infatti, ad Assagioli uno dei primi contributi italiani su Freud, incentrato proprio sulle teorie sessuali: Le idee di Sigmund Freud sulla sessualità, apparso su “La Voce” nel 1910» (p. 25) – scrive Bruni. Nonostante che Assagioli con rammarico constatasse in generale il poco interesse per le dottrine freudiane in Italia (cfr. Roberto Assagioli, Gli insegnamenti freudiani in Italia, in «Jahrbuch für Psychoanalytische und Psychopathalogische Forschungen», agosto 1910, pp. 349-355), Papini ne appare invece ben informato, particolare a cui non era estraneo in quegli anni il fitto scambio epistolare con l’amico studente di psichiatra.
Finora la critica ufficiale ha riconosciuto a Papini un ruolo non marginale nel campo culturale e un impianto originale nella formazione del pensiero, per lo più in chiave critica e polemica. Tuttavia, nonostante la loro indubbia rilevanza in ambito letterario, i suoi racconti sono stati in larga parte ignorati. Secondo Santoni, le opere di Papini sono importanti non solo per il loro contenuto, ma anche perché «operano un collegamento tra i suoi tempi e i nostri che in qualche modo salta tutto ciò che compone il nostro armamentario di giudizio rispetto alla narrativa: diverso da ogni altro ai suoi tempi, e ancor più diverso da ogni altro oggi che ci riappare pristino e spoglio d’ogni valutazione e rielaborazione critica o metaletteraria (giacché ignorato, frainteso o boicottato), Giovanni Papini viene, anche attraverso questo libro che avete tra le mani, a imprimere una direzione differente al canone letterario italiano» (pp. 11-12). Le “novelle metafisiche” rappresentano un colpo d’originalità dell’opera papiniana, deviando dalla più tradizionale Zeitgeist, via ampia e battuta del genere del romanzo dell’epoca, e divenendo un precursore della letteratura del secolo successivo oltre che delle avanguardie. A questo proposito, Santoni individua in László Krasznahorkai, Gospodinov, Tokarczuk e Cӑrtӑrescu coloro che hanno intaccato l’egemonia del genere del romanzo e, con la commistione tra i generi e l’intensa presenza della metafisica, hanno di fatto proseguito la rivoluzione iniziata da Papini.
Bruni sottolinea un altro aspetto dell’originalità di Papini rispetto ai modelli narrativi precedenti nella «stretta connessione creata tra letteratura e filosofia. Se in Crepuscolo dei filosofi (1905) Papini trasformò la filosofia in genere letterario [...], ne Il tragico quotidiano reinventa la narrativa come genere filosofico» (p. 18). A questo proposito il curatore cita il racconto Lo specchio che fugge, in cui sono riconoscibili «evidenti echi dalla teoria leopardiana del piacere» (ibidem). Un po’ in contrasto con ciò, Papini sarà più avanti costretto a difendersi contro i Difensori di Leopardi (La felicità dell’infelice, Vallecchi, 1957, pp. 176-179), affermando che «Il segno supremo del vero uomo è quello di non lasciarsi sopraffare dalle circostanze nemiche, ma di rispondere arditamente col ‘sì’ della creazione a tutti i ‘no’ della distruzione e della negazione» (p. 177) e concludendo che «pochi, al par di me, possono avere per il poeta dell'infinito, tanta venerazione e tanta tenerezza» (p. 179).
In questa ottica, il presente volume rappresenta una vera doppia occasione. La prima è di carattere critico ed è oggettiva: uno stimolo a spalancare gli occhi sull’importanza storico-letteraria di Papini, per (ri)scoprirlo e capirlo meglio; la seconda è di carattere personale, anzi personalissimo, ed è soggettiva: si tratta di aprire gli occhi su noi stessi e di riscoprire noi stessi la nostra vera e nuda realtà umana.


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