Libri su Giovanni Papini

2020


a cura di Riccardo Roni, Achille Zarlenga

Il pragmatismo italiano e il suo tempo



Giovanni Tuzet
Il pluralismo delle verità secondo Papini, pp. 1-11
(1-2-3-4-5-6-7-8-9-10
11)12-13-14-15-16-17



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1. Introduzione

Una delle assunzioni più diffuse e perniciose sulla teoria della verità come corrispondenza è che si tratti di una relazione uno-a-uno: la tesi solleverebbe la pretesa che per ogni fatto esista uno e un solo enunciato che lo rappresenta veridicamente.
L’assunzione è perniciosa poiché, essendo indifendibile, condanna a propria volta la teoria della verità come corrispondenza. Prendiamo l’enunciato “Roma è a sud di Milano”: è un enunciato vero che corrisponde alla disposizione geografica delle due città. Ora prendiamo “Milano è a nord di Roma”: non è lo stesso enunciato ma è vero dello stesso fatto, cioè della disposizione geografica delle due città. Sembra del tutto artificioso postulare che vi siano due fatti distinti che rendono veri i due enunciati. Il medesimo fatto, piuttosto, è rappresentato veridicamente e diversamente dai due enunciati.
Naturalmente andrebbero precisate alcune cose. Una è se la verità si predichi di soli enunciati o pure di altre entità. Le nostre pratiche linguistiche sono generose e tolleranti, dal momento che in italiano e in molte altre lingue verità e falsità si predicano non solo di enunciati o altre entità di natura linguistica (asserzioni o dichiarazioni), ma anche di entità logiche (proposizioni) ed entità psicologiche (credenze e giudizi). Qui, per semplicità, mi concentrerò sulla verità di enunciati.
Più difficile è precisare in cosa consista la relazione di corrispondenza una volta riconosciuto che non si tratta di un’esclusiva relazione uno-a-uno. L’esempio di Roma e Milano suggerisce che la corrispondenza possa essere una relazione uno-a-molti. Il medesimo fatto è rappresentato veridicamente da “Roma è a sud di Milano” e “Milano è a nord di Roma”. Più enunciati veri corrispondono al medesimo fatto.
Alle orecchie filosofiche giungono diversi echi di tale pluralismo. Senza pretese di ricostruzione storica e teoretica, mi sia permesso qualche accenno. Il principio aristotelico che l’essere si dice in molti modi sembra aprire la strada all’idea che ci possano essere più rappresentazioni vere degli stessi fatti 1. L’osservazione di Pascal che la dissomiglianza dei vangeli è utile rafforza l’idea e ne suggerisce il valore 2. Quest’ultimo starebbe, nel mio intendimento, nella possibilità di evidenziare entro il vero prospettive e aspetti diversi, scegliendo quello più adeguato al contesto o integrandoli dove opportuno. La predilezione pragmatista per le concezioni pluraliste rafforza ulteriormente l’idea, a maggior ragione se il pluralismo non è solo sulle rappresentazioni veridiche del mondo ma anche in tema di ontologia, cioè sui mondi stessi suscettibili di rappresentazioni diverse. L’idea emerge piuttosto chiaramente dalla filosofia di William James, ma se ne trovano tracce anche in Charles Peirce, pur se questi ha espresso riserve sul pluralismo in filosofia 3. In Peirce, la natura della semiosi e la dinamica degli interpretanti comportano che uno stesso oggetto possa essere rappresentato in una pluralità di maniere potenzialmente inesauribile 4. In James, l’universo è plurale e richiede un approccio empirico piuttosto che un inquadramento razionale viziato dalla tendenza a spiegare le parti con il tutto; l’empirista, allergico al monismo, spiega il tutto con le parti 5.
In Italia, Giovanni Papini è stato su questo tema particolarmente influenzato da James. Non mi propongo di discutere l’opera di Papini nel suo complesso – cosa che sarebbe insana, data la mole della sua produzione e la pluralità delle sue vesti (filosofia, critica, letteratura e altro ancora). Non


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mi propongo neppure di stabilire se il Papini filosofo vada preso sul serio o i suoi scritti vadano ridimensionati a una delle molte incursioni di questo enfant terrible della cultura italiana di inizio Novecento. Inoltre sul valore del Leonardo, da lui fondato con Prezzolini e animato fra gli altri da Vailati e Calderoni, si è già scritto molto 6. Quello che mi propongo di fare è questo: mettere in prospettiva alcune tesi di Papini sulla verità e discuterne il valore, che in poche parole consiste nell’indicare – a mio giudizio – come si possa essere pluralisti senza essere relativisti.
Coniugare oggettività e pluralismo è la virtù principale del pluralismo delle verità. Beninteso non si tratta di una forma di relativismo. Non si tratta di relativizzare la verità ai punti di vista. Si tratta di capire che più rappresentazioni possono essere vere degli stessi fatti. E si tratta di capire come questo accada.

2. Papini, il pragmatismo e la “teoria corridoio”

Chiunque abbia una minima dimestichezza con il pragmatismo in generale e il pragmatismo italiano in particolare sa che James trovò particolarmente espressiva la “teoria corridoio” di Papini, consegnata alle stampe in un articolo del 1905 intitolato “Il pragmatismo messo in ordine” 7. In questo contributo Papini sostiene, come noto, che il pragmatismo è come il corridoio di un grande albergo frequentato da persone diverse, dedite a diverse occupazioni; tutte attraversano comunque il corridoio per recarsi alle rispettive stanze. Il che significa che il pragmatismo è un metodo filosofico e che, come metodo, è imprescindibile. È il metodo che consiste, in estrema sintesi, nel tracciare le conseguenze delle nostre concezioni 8.
Papini raccoglie nel 1913 i suoi scritti della stagione pragmatista, in un volume intitolato semplicemente Pragmatismo (1903-1911). Nelle pagine introduttive è così espresso il “succo del pragmatismo”:

sbandimento dei problemi senza senso e delle frasi vaghe – studio e riforma degli strumenti del pensiero – tendenza al particolare e al pluralismo piuttosto che all’universale e al monismo – aspirazione a una maggiore potenza della volontà e ad un’efficacia diretta dello spirito sulle cose 9.

Il volontarismo di Papini si accompagna alla predilezione per il particolare e a una tendenza pluralista. Mancate distinzioni e vaghe generalità affettano i monisti e gli universalisti. L’enfasi sul particolare e il pluralismo sono senz’altro in linea con l’insegnamento di James, come appare chiaro dal primo capitolo del volume del 1913, “Morte e resurrezione della filosofia”, un saggio pubblicato originariamente nel 1903. Ivi Papini si schiera contro le forme di monismo e in favore del pluralismo ontologico. “C’è il mondo? No. Ci sono i mondi, più mondi, parecchi mondi per ciascun uomo. Bisogna crearli, moltiplicarli” 10. Si noti che la tesi è avanzata “per ciascun uomo”. L’enfasi è sul particolare, la predilezione è per il concreto. I singoli agenti trasformano le proprie visioni in opere e mondi. “Si tratta di fare e non di dire, di creare più che di spiegare. Si fa il mondo invece di accettarlo” 11. Nel secondo capitolo del volume, “Unico e diverso” (del 1904), Papini insiste sul


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punto dichiarando che l’unico conduce alla morte e il diverso alla potenza 12. Il suo è un volontarismo pluralista, dove i singoli individui si affermano in termini di volontà, azioni, potenza.
Più sobri sono altri capitoli del libro, fra cui il saggio del 1905 sulla “teoria corridoio”. È importante ricordare da cosa nasce questo saggio: una polemica fra Calderoni e Prezzolini sulle pagine del Leonardo, a proposito della maniera di intendere il pragmatismo 13. Papini cerca di mettere in ordine le varie idee emerse nel dibattito e ricorda che “l’aspirazione a poter agire” 14 è ciò che muove il pragmatista desideroso di intendere che conseguenze pratiche hanno determinate teorie o credenze. È così che Papini, firmandosi The Florence Pragmatist Club, giunge a dire che il pragmatismo è una teoria corridoio:

un corridoio di un grande albergo, ove sono cento porte che si aprono su cento camere. In una c’è un inginocchiatoio e un uomo che vuol riconquistare la fede – in un’altra uno scrittoio e un uomo che vuol uccidere ogni metafisica – in una terza un laboratorio e un uomo che vuol trovare dei nuovi “punti di presa” sul futuro…
Ma il corridoio è di tutti e tutti ci passano: e se qualche volta accadono delle conversazioni fra i vari ospiti nessun cameriere è così villano da impedirle 15.


Il pragmatismo vale per una pluralità di fini e propositi, in quanto è un metodo che permette di enucleare, prevedere e verificare empiricamente le conseguenze delle nostre credenze e teorie. Peraltro, come ben indicato in “Introduzione al Pragmatismo” (1906), il metodo pragmatista perviene più a fondo in quanto definisce i concetti stessi e i costrutti teorici in termini di prevedibili conseguenze della loro applicazione:

il Pragmatismo non considera la previsione soltanto come possibilità di applicazioni pratiche o come aiuto per la verifica delle teorie, ma anche come mezzo di definizione e di interpretazione delle teorie medesime 16.

In un saggio ulteriore, “Non bisogna esser monisti” (del 1906), Papini riprende la critica al monismo specificandola in tre punti principali:

1. il monismo confonde le varie relazioni fra le cose con relazioni di identità;
2. è ozioso (non si cura delle distinzioni);
3. pretende di spiegare il tutto ma non è capace di alcuna previsione verificabile 17.

Ritorna qui il tema delle previsioni, possibili grazie al metodo pragmatista di determinare le conseguenze particolari di ciò che crediamo 18. Cosa dobbiamo aspettarci se è vera una certa credenza o teoria in cui ci riconosciamo? E cosa dovremmo aspettarci se fosse falsa? In questi termini i processi di verificazione hanno un ruolo sia epistemico che pratico, in quanto permettono di controllare empiricamente la correttezza di credenze o teorie (aspetto epistemico) 19. e in quanto permettono di orientare la condotta a maggior vantaggio degli agenti (aspetto pratico). Su quest’ultimo aspetto, Frank Ramsey dirà in un lavoro del 1929, General Propositions and


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Causality, che le credenze sono mappe capaci di orientare la nostra condotta 20. La loro verità comporta la loro utilità.
Se credo che Roma sia a nord di Milano e desidero recarmi dalla prima alla seconda, muoverò a sud della prima aspettandomi di trovare Milano a debita distanza. La previsione sarà falsificata dall’esperienza e la falsa credenza rivelerà la propria disutilità 21. Avrò perso tempo, risorse ed energie senza arrivare a Milano, senza cioè soddisfare il desidero che ha mosso la mia condotta – o senza realizzare lo scopo prefissatomi. Sullo sfondo di questo esempio – poco realistico, lo so, ma non per questo inutile – sta l’assunzione che credenze ed enunciati veri sono tali in quanto corrispondono ai fatti su cui vertono. Di conseguenza possono essere verificati e sono in grado di orientare utilmente l’azione. Ma in cosa consiste, più precisamente, la relazione di corrispondenza?

3. Papini e la verità

“Le verità per la Verità” è un saggio di alcuni anni posteriore (1911), a sua volta raccolto da Papini nel volume del 1913 come suo ultimo capitolo. Il saggio inizia rilevando – e non è una scoperta sensazionale – la pluralità delle opinioni in filosofia e nelle scienze. Con l’osservazione – più acuta – che in ambito scientifico ci si aspetterebbe, almeno in un quadro positivista, un maggior grado di accordo.
In filosofia, si direbbe, la pluralità delle voci è di casa; nelle scienze dovrebbe esserlo meno, nella misura in cui il progresso empirico falsifica alcune teorie (esempio classico, la teoria tolemaica) e lascia il campo alle teorie rivali in un’ideale reductio ad unum. Ma Papini vede qualcosa di positivo nella pluralità stessa. Il saggio continua sostenendo – ed è la parte più originale – che la verità deve essere concepita come un prisma 22. Come un prisma, la verità ha numerose facce, molti lati che occorre riunire e disporre per passare da una figura superficiale a un solido. Così deve essere intesa la metafisica. “Ogni metafisica, infatti, per chi guardi in fondo, consiste in questo: nella scelta di una porzione o di un aspetto della realtà per servirsene come unità di spiegazione rispetto al tutto” 23. Attenzione: “unità di spiegazione” non significa che la porzione o l’aspetto selezionato spieghi di per sé il tutto. Ne spiega la parte o dimensione rilevante. Infatti il pluralismo metafisico avanzato da Papini si propone di integrare e comporre in un’opera coerente i vari elementi presi di volta in volta in considerazione:

mettendo quasi alla pari gli elementi diversi noi creiamo una teoria più comprensiva e più duttile per spiegarci via via tutti i problemi particolari che la realtà senza posa ci presenta. Ben di rado due principî diversi si negano mentre ben sovente si integrano 24.

Di fronte a mai sopite tendenze riduzioniste (di segno fisicalista) vale ancora oggi meditare passi come questo. Papini prosegue affermando che non c’è nessun verboten in filosofia, anticipando così l’anarchismo metodologico à la Feyerabend, pur se il fiorentino spinge la tesi più in là delle questioni di metodo, in quanto si tratta di un pluralismo teoretico e metafisico 25. Tornando più puntualmente alla questione della verità, in un passaggio chiave del lavoro Papini afferma di voler perseguire “il pluralismo delle verità per stringere più da presso tutta la verità” 26. Il


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pluralismo sembra subire qui una torsione, proprio al culmine del suo elogio. In fondo la pluralità pare servire la causa della comprensione del tutto, la comprensione olistica del mondo nella sua ricchezza – e pluribus unum. Più analiticamente si può osservare inoltre che la duplice occorrenza di “verità” sembra voler dire altro. La seconda occorrenza in tale passaggio potrebbe essere sostituta da “realtà”; in questo modo il testo direbbe di voler perseguire “il pluralismo delle verità” per stringere più da presso tutta la realtà. Ciò renderebbe il passaggio meno profetico ma più chiaro. Una pluralità di verità serve la comprensione della realtà nel suo complesso e nella sua ricchezza. Con questo ci avviciniamo anche a una miglior comprensione della nozione di corrispondenza, la quale continua a giocare in questi discorsi come un’assunzione non (del tutto) esplicitata.
Papini conclude il saggio usando un’altra metafora, decisamente utile e altrettanto chiara: quella delle filosofie come reti per catturare la realtà 27. Le reti hanno maglie diverse, ora più larghe e resistenti, ora più strette. Maglie diverse catturano pesci diversi. Con alcune posizioni filosofiche faremo nostri alcuni aspetti della realtà, ma altri aspetti ci sfuggiranno e potranno essere colti solo utilizzando reti diverse. Il pluralismo delle posizioni filosofiche è pertanto benvenuto se permette una migliore e più vasta comprensione del mondo. Si noti inoltre che qui Papini usa espressamente “realtà”: le reti filosofiche catturano la realtà. In altri termini, quando le nostre teorie sono vere esse corrispondono a parti o aspetti della realtà. Il pluralismo si può quindi coniugare all’oggettività, così da darci una più ampia e più profonda comprensione del mondo, senza che ciò comporti in alcun modo una forma di relativismo in cui quello che conta sono solo i punti di vista, le opinioni personali, ecc.
Saltando ora alla filosofia più recente, mi sia permesso anche qui qualche rapido accenno – senza pretese di completezza e dettagli. Ci sono delle somiglianze di famiglia. Quine è noto per il naturalismo di fondo, che può spingere nella direzione di un monismo riduzionista; eppure le sue posizioni oliste e la sua visione pluralista dell’ontologia resistono a tale tendenza, lasciando spazio alla creatività umana e scientifica nella definizione degli schemi concettuali e delle teorie che rendono conto dell’esperienza empirica 28. Putnam è noto per una difesa del pluralismo concettuale, se non metafisico: i modi in cui “contiamo” le entità nel mondo sono diversi e almeno in apparenza sono spesso incompatibili; ma non è affatto escluso che la loro dialettica riveli l’esigenza pluralista che stiamo evidenziando, dal momento che alcuni di tali modi di categorizzare il mondo sono reti migliori per certe entità e peggiori per altre, e viceversa per altre categorizzazioni 29. L’idea di un substrato ontologico oggettivo che si lascia descrivere o ritagliare in molti modi è presente in varie forme in molti autori, fra cui Eco e altri filosofi influenzati dal pragmatismo 30. E per tornare al tema della verità, si possono trovare nella filosofia contemporanea forme di pluralismo aletico che si concentrano non solo sulla pluralità dei modi in cui “mappiamo” il mondo ma anche e soprattutto sui diversi modi in cui può darsi la verità: per queste posizioni c’è più di un modo in cui qualcosa può essere vero, in quanto la verità stessa è una proprietà che si realizza in maniere diverse 31. Da ultima vorrei richiamare la teorizzazione contemporanea sui “fattori di verità” (truth-makers), secondo cui i “portatori di verità” come enunciati, credenze o proposizioni sono tali perché nel mondo c’è qualcosa che li rende tali, appunto i “fattori di verità” 32. Per riprendere l’esempio, la loro collocazione geografica rende vera la credenza che Roma è a sud di Milano. Se i “fattori di verità” siano fatti, eventi, stati di cose o entità diverse sotto il profilo ontologico è questione tecnica che non intendo affrontare qui. Mi limiterò ad assumere che siano fatti e discuterò nel seguito se la corrispondenza a tali fatti sia esclusivamente una relazione uno-a-uno.


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4. Quale corrispondenza?

L’idea perniciosa richiamata all’inizio di questo lavoro è che la corrispondenza comporti uno e un solo fatto vero per ogni portatore di verità. “Roma è a sud di Milano” e “Milano è a nord di Roma” dovrebbero corrispondere a due fatti diversi, il che è piuttosto controintuitivo. Per non parlare dei misteriosi “fatti negativi” che dovrebbero corrispondere a enunciati con negazioni come “Non c’è un elefante sulla guglia del Duomo”: posto che questo enunciato, se riferito alla più alta guglia del Duomo di Milano, è indubbiamente vero, esso dovrebbe essere tale in quanto corrispondente al fatto negativo che sulla punta del Duomo non c’è un elefante. Il che pare implausibile. Fatti negativi, fatti disgiuntivi, fatti condizionali e altre bizzarrie sembrano piuttosto generati dal proiettare sul mondo quelle che sono in realtà strutture logiche.
Mi sembra che l’esempio di Roma e Milano lasci intendere chiaramente che allo stesso fatto corrispondono diverse rappresentazioni vere. Si tratterebbe allora di una corrispondenza uno-a-molti: per ogni fatto, una pluralità di possibili rappresentazioni vere. Il nome che ho dato a questa idea è verità asimmetrica 33. C’è asimmetria perché a un elemento in un lato della relazione può corrispondere una pluralità di elementi nell’altro lato. Così per la verità uno-a-molti, ma anche per la variante della verità molti-a-uno. Consideriamo l’enunciato “A Firenze ci sono molti ristoranti”. La forma logica dell’enunciato è una congiunzione di proposizioni esistenziali: “A Firenze c’è un ristorante 1”, “A Firenze c’è un ristorante 2”… fino a “A Firenze c’è un ristorante n” dove n sta per un numero che, in base ad assunzioni condivise, rende vera e giustifica l’affermazione che a Firenze ci sono molti ristoranti. Se, come James consigliava, rendiamo conto del tutto tramite le parti, questa affermazione trova la sua ragione non in un unico fatto congiuntivo ma in una pluralità di fatti che la rendono vera.
La ricchezza del mondo e del linguaggio consentono inoltre che una corrispondenza molti-a-uno si traduca in una relazione molti-a-molti. “A Firenze ci sono molti ristoranti” è un’affermazione vera di una pluralità di fatti e la stessa pluralità può essere espressa veridicamente da enunciati come “Nella città di Lorenzo il Magnifico ci sono molti ristoranti”, “Nel capoluogo della Toscana ci sono più di due ristoranti”, e così via.
Torniamo però all’idea della verità asimmetrica. Interessante è che una relazione analoga valga anche fra oggetti e immagini. (La radice semiotica della relazione spiega questo punto, poiché segni diversi possono stare per lo stesso oggetto). È esperienza di tutti che diverse immagini o rappresentazioni grafiche possano vertere sullo stesso oggetto. Prendiamo un oggetto piuttosto articolato come una casa. Le figure 1-5 rappresentano, per aspetti e profili diversi, la stessa casa.
Le figure 1 e 2 sono rappresentazioni grafiche, stilizzate, con pochi essenziali informazioni. Specie la prima, che si limita a riportare la forma dell’edificio e alcuni dati catastali relativi alla proprietà. La seconda aggiunge informazioni sulla suddivisione interna dell’edificio.


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Fig. 1


Fig. 2

In figura 3 c’è una rappresentazione solo linguistica della casa, con una descrizione della sua parte denominata “ente indipendente 1”. La descrizione si limita ad alcuni aspetti. Ovviamente potrebbe essere molto più dettagliata, ma per gli scopi pratici del documento di cui fa parte non occorrono dettagli ulteriori.


Fig. 3


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Le figure 4 e 5 sono immagini fotografiche, che rappresentano parti diverse dell’edificio (rispettivamente un granaio e la facciata sulla strada). Inoltre, in origine, la quarta è in bianco e nero mentre la quinta è a colori. La quarta non offre informazioni cromatiche, la quinta rende i colori della facciata in un giorno limpido e soleggiato.


Fig. 4


Fig. 5

Se come Papini abbiamo a cuore “il pluralismo delle verità per stringere più da presso tutta la verità”, apprezzeremo il fatto che le diverse rappresentazioni mettono in luce aspetti diversi di ciò su cui vertono. Inoltre servono scopi pratici diversi – com’è ovvio se si confronta un documento catastale con una fotografia scattata per passione o per ricordo.
Gli esempi linguistici fatti sopra e le rappresentazioni della casa ci aiutano a distinguere alcuni modi della verità asimmetrica. I seguenti sono tre modi in cui si esprime la verità senza una necessaria corrispondenza uno-a-uno:


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   1) per specificazione o astrazione (livello di dettaglio della rappresentazione);
   2) per focalizzazione pragmatica (attenzione per gli aspetti pragmaticamente rilevanti);
   3) per rilevanza contestuale (scelta della lingua, del registro, dei termini, ecc.).

“C’è almeno un cigno nero al mondo” e “C’è almeno un cigno nero in quel lago” differiscono per il dettaglio della collocazione del cigno al momento dell’affermazione. Differiscono quindi sotto il primo profilo (livello di specificazione o astrazione). Così anche per le figure 1 e 2 della casa. “Il bicchiere è mezzo pieno” e “Il bicchiere è mezzo vuoto” differiscono sotto il secondo profilo (focalizzazione pragmatica), in quanto dirigono l’attenzione su un aspetto che appare come pragmaticamente rilevante. Così anche per le figure 3 e 5 della casa, giacché l’una ne rende la suddivisione interna e l’altra l’aspetto esterno. Lo stesso per “Roma è a sud di Milano” e “Milano è a nord di Roma”, poiché in un caso si punta l’attenzione sulla collocazione di Roma e nell’altro su quella di Milano.
“Questo vino è buonissimo” e “Questo vino eccelle” differiscono sotto il profilo della rilevanza contestuale, in quanto la prima affermazione è perfettamente appropriata se sto parlando a un amico, mentre la seconda pare appropriata se mi sto esprimendo più formalmente nel contesto di una degustazione tecnica.
Talora può essere difficile distinguere il terzo dal secondo aspetto, se i profili pragmatici e contestuali sono in continuità o si sovrappongono. Questo non deve sorprendere, poiché i contesti diversi rispondono di solito a scopi diversi. Quello che invece appare come problematico è il modo di identificazione dell’oggetto o del fatto su cui vertono le rappresentazioni. Spenderò alcune parole su questo punto per poi avviarmi alla conclusione del lavoro.
Si potrebbe obbiettare che le figure 1-5 non sono rappresentazioni della stessa cosa. D’accordo, la casa è la stessa, ma oggetto delle diverse rappresentazioni sono sue parti o aspetti diversi. Le figure 4 e 5, in particolare, vertono su un granaio e la facciata, che non sono la stessa cosa pur appartenendo allo stesso edificio complessivo.
Un problema analogo vale per la rappresentazione dei fatti tramite enunciati. Dire che il bicchiere contiene una certa quantità di liquido è un modo più neutrale di rappresentare il fatto su cui vertono “Il bicchiere è mezzo pieno” e “Il bicchiere è mezzo vuoto”. Ma la difficoltà pare maggiore per enunciati come “C’è almeno un cigno nero al mondo” e “C’è almeno un cigno nero in quel lago”: rappresentano lo stesso fatto? Il problema filosofico è questo: come specificare i fatti indipendentemente dagli enunciati che vertono su di essi?
L’enunciato “C’è almeno un cigno nero al mondo” è vero se e solo se c’è almeno un cigno nero al mondo, ma qual è il fatto a cui corrisponde? Il fatto che il mondo è in un certo stato complessivo un elemento del quale è l’esistenza di un cigno nero? Su questo problema, tuttora aperto, si sono spesi diversi teorici dei “fattori di verità” 34.
Potremmo dire che un fatto è un’astrazione del reale concepita in forma proposizionale (logica) ed espressa in forma linguistica. È un’astrazione perché prescinde da numerosi aspetti di ciò su cui verte. “C’è almeno un cigno nero al mondo” non ci informa della grandezza del cigno, né delle sfumature del suo piumaggio, né della sua ubicazione (cosa che invece rileva “C’è almeno un cigno nero in quel lago”, pur senza dire se l’animale sia in mezzo al lago, o ai suoi bordi, ecc.). Ma se l’aspetto astrattivo o di dettaglio appartiene alle rappresentazioni e non ai fatti stessi, questo è di nuovo un proiettare sulla realtà quelle che invero sono proprietà logiche e linguistiche. È intuitivo che siano i fatti a rendere veri gli enunciati e le credenze, ma pare arduo se non impossibile identificare i fatti senza disporre di strutture logiche e linguistiche. Forse questo non è però un problema per chi aderisce a una forma di pluralismo ontologico: se viviamo in un modo o universo irriducibilmente plurale, non è sorprendente che non si riescano a identificare una volta per tutte i suoi mattoni.


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5. Conclusione

Coniugare oggettività e pluralismo è il pregio della verità asimmetrica. Papini, pur fra eccessi ed eclettismo, ha colto il punto e lo ha valorizzato in chiave pragmatista. In questo lavoro ho cercato di ricostruire le sue tesi a riguardo, ricordandone i debiti nei confronti di James e rilevando alcune somiglianze di famiglia fra il suo pluralismo aletico e quello di autori successivi. Allo stesso tempo ho cercato di mettere in luce i pregi di questa teorizzazione e alcuni problemi che rimangono aperti (fra tutti, l’identificazione dei “fattori di verità”).
Prima di concludere si ricordi che la verità non è la conoscenza, ma una sua componente. Per la tradizionale concezione tripartita, sapere che p è avere una credenza vera e giustificata che p. Ossia, un soggetto S sa che p se e solo se: primo, è vero che p; secondo, S crede che p; terzo, S è giustificato a credere che p. La verità come corrispondenza, anche nelle accezioni asimmetriche, non comporta che i soggetti sappiano cosa è vero. Per converso, quando attribuiamo a qualcuno la conoscenza che p ne implichiamo la verità e assumiamo che il soggetto la creda in maniera giustificata. Questo ha una certa importanza filosofica in quanto mostra che, nella sua aria vagamente tautologica, la concezione della verità come corrispondenza si presta ad applicazioni utili come la determinazione del concetto di conoscenza. A maggior ragione se è una verità plurale e asimmetrica che rende conto dei nostri interessi e delle nostre sensibilità nel definirne la forma e l’espressione.

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