Per la verità 1
1 «Corriere Universitario», quindicinale dell'Associazione Torinese Universitaria. Anno I, numero 1, 5 febbraio 1913.
Pubblicato in: Studi Storici, anno 14, fasc. 4, pp. 917-918.
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Data: ottobre - dicembre 1973
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Giovanni Papini ha creduto opportuno di raccogliere in «Ventiquattro cervelli» 2 alcuni suoi scritti che man mano è venuto pubblicando in riviste e giornali. Avrei fatto a meno di parlarne, se non mi cí avesse spinto, per così dire, una questione personale. Infatti trovo qui riprodotto il breve profilo di Arturo Farinelli già uscito nella rivista «Anima» dell'aprile 1911, nel quale, come in tutti gli altri scritti, ricorre l'eterno motivo papiniano: «dagli all'erudito, dagli allo schedaiuolo!».
Non ho bisogno di premettere che sono un ammiratore dell'ingegno agile e infaticabile dell'autore e che non posso non essere contento di quanto egli ha fatto e fa spesso, come qui, con efficacia e con calore per convincere, anche chi non vuol essere convinto, della grandezza d'animo e d'ingegno del Farinelli; ma appunto perciò sento di dovermi opporre a quella che è diventata una posa nel Papini.
Il quale, beato lui, crede d'aver sempre vent'anni, di essere sempre il direttore del «Leonardo» e non vuole abbandonare un certo suo atteggiamento tra il comico e il tragico da pitonessa, che incomincia a screditarlo tra coloro stessi che fin qui lo seguirono con amore e interesse. Non vuol persuadersi il Papini, che il successo procuratogli dagli scritti giovanili anche presso chi era da lui aggredito, non era dovuto affatto ad un intimo valore dialettico di essi scritti, ma solo ad un sentimento, naturale ed onorevole per vero, di benevola simpatia per un ragazzo nel quale l'esuberante vitalità, pur manifestandosi in violenti atteggiamenti di ribelle distruttore di vecchiumi, facevano sperare una fioritura meravigliosa di opere nell'età più matura. Invece il Papini è voluto rimanere sempre allo stato di verde promessa della patria e le sue diatribe ora sembrano a molti impotenza che vuol parere robustezza, e i suoi articoli apocalittici gli procureranno fra breve un posto onorevole fra i vari Bergeret e Rastignac che deliziano il bello italo regno.
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Nel caso particolare il Papini per la sua solita inclinazione al rapido scrivere, si è lasciato sfuggire dalla penna alcuni goccioloni, che in chi predica serietà di vita interiore e approfondimento dei problemi spiri¬tuali, da tempo immemorabile fanno trasecolare.
Ricade egli nell'errore volgarissimo ad altri rimproverato, di credere che un mezzo di studi, una cosa affatto empirica per es. la « scheda » svalori l'opera di chi se ne è servito; così, del resto, può fare a meno di leggere e di studiare l'opera. E così nella fine nel suo scritto sul Farinelli, per accentuare la posizione drammatica dell'illustre maestro nella ritrovata Italia, afferma, che egli è solo, non solo fra i dotti colleghi, ma anche, e ciò sarebbe davvero più grave, fra i giovani, ai quali vorrebbe dare tutta l'appassionata anima sua.
Ma con molta probabilità, il Papini non sa neppur lui cosa diamine abbia voluto dire con queste parole: le quali, a quanto pare, gli piacciono perché altra volta (nel «Leonardo» del luglio 1906) le ha dette, non meno sibillinamente a proposito del Carducci. Ma ammettiamo che questa volta non si tratti delle amletiane parole, parole, parole: che ha voluto dire il Papini? Forse che ogni uomo di genio che sia dotato di squisita sensibilità morale, è condannato alla solitudine tra i contemporanei che non riescono ad eguagliarlo? Potrebbe aver ragione: ma ha torto per quanto riguarda il Farinelli, il quale sa, e di ciò gli siamo grati, accostarsi anche ai piccoli, agli umili, cercando di trarli con sé verso l'alto, in una visione sempre più alta della vita umana; perché è prerogativa del genio, come ha detto altrove il Papini, di farsi un ambiente adatto a ricevere la sua divina impronta. E se il Rapini vuol dire che nessuno, e in questo caso i giovani dell'Università di Torino non seguono con reverente affetto l'opera di A. Farinelli e non si lasciano conquistare dal suo caldo entusiasmo per ogni grande e bella manifestazione dello spirito umano, ha di nuovo torto, e torto grave, perché egli fa un'affermazione gratuita alla quale non si è curato di dare una qualsiasi base di verità.
E questo io solo volevo dire, e insieme con me, altri giovani che, sebbene non lo dimostrino con clamori o con inni laudativi, sentono quanta parte del loro animo occupi il Farinelli, che hanno trepidato quando per un momento dubitarono che il maestro li lasciasse per portare il suo insegnamento in altre scuole, dove certo avrebbe trovato uditorio più numeroso ma non più affettuoso o più fervido, e che si stringono intorno a lui lasciandosi investire dalla fiamma della sua passione, perché in lui trovano una fonte di energia nella davvero non sempre gaia spensierata e creatrice d'affetti, vita universitaria.
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