(5-6)
p. 5
p. 6
5
Tutti li nulli dell'universo
sono uguali in un sol nulla.
Leonardo
Si apre finalmente col secolo una nuova era fissando una data memorabile per l'umanità? I segni sono manifesti, per ogni dove appare la vita nova, i predicatori della piccola gente proclamano altamente il nuovo verbo. Era tempo. Dopo l’avvento delle democrazie, dopo la conquista delle più fulgide verità, dopo la grande eguaglianza e l'insorgere delle plebi, dopo la lue cristiana, si doveva inevitabilmente a tanto arrivare. Anche il tempio dell’Arte precluso al volgo, lasciato per lungo tempo spoglio di corone virenti, doveva essere aperto alla moltitudine dei mediocri. Gloria alla conquista! Facile n’è oggi l’ascesa con ì mezzi della nostra età. Colui che da tempo lontanissimo, curvo sul tornio, viveva in pace nel piccolo orto, oggi è sospinto nel mercato perchè apra gli occhi. Gloria alla nuova civiltà che crea un’arte nuova! Onore alla città senza tradizioni che ha bandita la prima grande mostra di arte decorativa! Perchè a Torino vedemmo quanto di meraviglioso sia apparso sotto il sole. I nuovi sacerdoti avevano onorato Leonardo di un tripode votivo sotto la cupola trionfale, forse perchè aveva scritto che «per tutto il mondo tu trovi dove imitare.»
Tutte le genti sembrano unite in grande fratellanza artistica, le barriere e le distanze distrutte, e gli artefici prendere in Asia, in Africa, in Oceania, in ogni luogo, con esempio unico di scambio universale.
Altissime erano le vociferazioni dei mercanti; alcuni lusingavano gli schiavi, altri gli uomini superiori. «Le nostre forze aspirano verso il benessere comune, per poco noi daremo la gioia e la felicità; tutta l’essenza e l’aspirazione della vita odierna e tutte le promesse domani sono, in noi veggenti, per voi, perchè illuminati, sarete poi i futuri dominatori; le nostre immagini vi designano con la curva saliente ed ampliantesi come per il respiro di un seno possente, o con quella del bacino che conterrà i germi delle future nascite. Tutto un’avvenire di conquiste e di superiorità è condensato nelle poche linee sintetiche.»
Il concerto era stranissimo, indescrivibile; i connubi erano spaventosi. Babilonesi e Giapponesi e Prefidiaci e Celtici e altri di tutte le età e di tutti i popoli. Nell’esultanza dicevano: «L’Arte ha ora un libro splendente ove le parole più diverse si sono unite in accordo meraviglioso.»
Quanti esempi nel recinto sacro! Eccoci dinnanzi a due masse informi che han ufficio di fontane.
La fontana! Quest’opera geniale, forse la più bella che l'uomo e Roma abbiano creato per ornamento del mondo, ricca di armonie e di splendore, di marmi e di bronzi può avere qualche cosa di comune con quella massa impotente? Pensatene una simile in un recinto di Roma divina pieno di quelle armonie che attrassero le anime sitibonde di Goethe e di Shelley le innalzarono e le inebbiarono sino a dissolvere nel palpito delle cose. O stolti, non potevate trovare
6
sul limitare del mercato qualche congegno a macchina che invitasse con suono più dolce?
Ma dentro la grande cupola accenderemo la lampada della verità. Non solo per le belle luci e per gli elementi decorativi nuovi delle scacchiere e delle pnotte d’oro, ma per la novissima audacia di far apparire la cupola senza alcun sostegno, anzi sorretta in parte dal fumo dei vecchi tripodi; per questa bella falsità noi accenderemo una fiamma fulgida come quella che il Partenone diffonde per sempre dall’Acropoli. Ecco ancora elementi inutili di decadenza; le palle, i bacini, i tronchi, i ricci enormi che provano la povertà e l’imitazione, tutto il ferravecchio che forse viene da Darmstadt. E mai possibile che questa possa divenire l’epifania dello stil novo ?
L’Arte, che per noi è come il sole per l’universo, non soffre di vecchiezza, come lo stile è perennemente giovane. In tutti i tempi fu l'uomo privilegiato, la creatura di bellezza e d’amore data agli uomini per consolazione e gioia. Non abbiamo bisogno di una nuova maniera ma di un genio che svegli in noi un mondo ancora sconosciuto e ci faccia apparire la vita nuovamente nella sua ebbrezza e nella sua grandezza. Quest'essere profondo e sincero, rivelatore dell'aperto secreto, non sarà dissimile dagli antichi, benché i segni esteriori non corrispondano. Le esposizioni, le macchine, le scuole, tutte queste forze di oggi sono vane; come non potranno accendere una stella nel cielo, così non potranno affrettare la venuta di questo eletto che dovrà dire una nuova parola al mondo. Aggiungere una parola nel sacro libro è il mandato di poche anime elette; e quando la presunzione, l’arroganza, la cecità e la debolezza tentano di abbattere questa legge, noi dobbiamo credere che passi ancora per il verde e azzurro mondo rivestito di bellezza un soffio di demenza, come quello che oscurò la terra dopo la scomparsa del Galileo.
Lontanissime sono le origini della nostra lingua; la lingua di Dante è sacra, tutti i poeti la difendono contro l’impurità e la contaminazione: quelli che sono ancor schiavi combattono guerre eroiche contro i barbari per la lingua dei padri. Non sono forse l'architettura e la decorazione come la lingua di un popolo? Questi piccoli uomini con gran voce annunziano la morte della vecchia lingua e ne bandiscono una nuova, una barbarica. Per fortuna le radici sono profonde nel suolo italico; anche dopo la scomparsa delle ultime vestigia, dobbiamo attendere che dal grembo della nostra terra scaturisca una luce meravigliosa. La tradizione non si cancella d’un tratto, è forza impetuosa e nascosta, come quella che urge i germogli e prepara la fioritura innumere dell’albero. Attendiamo con fede; la primavera umana è per risorgere se una voce possente, come vento impetuoso che reclini le cime, scuoterà gli uomini non liberi ancora.
Pensate: tra il fiore che si schiude e la foglia che cade, nella vicenda delle stagioni, lentamente l'albero innalza le braccia verso il sole. Per secoli, percorrendo un lungo cammino, le generazioni preparano l'opera che rivelerà il loro tendere verso la bellezza. Perchè nel V° s. sorga un’opera perfetta come il Partenone, è necessario che altri templi dorici, quelli di Olimpia nel VI° e di Corinto nel VII° l'abbiano preceduta: perchè dal capitello di Corinto Ittino arrivi alla perfetta forma di quello del Partènone, sono dovuti scorrere almeno due secoli; ed ove si pensi che il più antico tempio dorico ha origini lontanissime, appare manifesto che la tradizione è necessaria, come il tempo per l'albero.
Vedete la saldezza degli anelli nella scultura: dalle statue egizie a quelle prefidiache a Fidia; da Nicola Pisano a Iacopo della Quercia a Michelangiolo. E per la bella fioritura delle logge vaticane, che svolge una nuova ornamentazione, non si debbono scoprire le grotte nelle Terme di Tito? L’armonia che si rivela in molti nostri edifici arricchiti e compiuti con secoli di lavoro risulta dal sovrapporsi di forme in linea ascendente e tradizionale. Un chiaro esempio appare in S. Maria Novella dove Leon Battista Alberti sopra la base ogivale pone l'arco tondo con bella armonia.
Oggi chi oserebbe pórre la propria opera su quella di Iacopo della Quercia? Quale moderno stile potrebbe dare compimento a S. Petronio? E pur viene il barbaro che dice: «Io ricostruirò il campanile di Venezia in moderno stile!»
Per essi la tradizione è un fardello pesante ed inutile abbandonato dai vecchi; i giovani d’oggi son troppo deboli per avviarsi con un vecchio fardello, e noi d’Italia siamo messi alla pari degli Australiani, e una città nostra, per ora, è grande specialmente perchè non ha le brutture del passato; è grande perchè ha tutti i ritrovati moderni ed ora l'Arte nova. Non si potrebbe scioglierla dalla patria poi che la patria non n’è degna?
Tutto il disordine, la pienezza e la caducità delle forme naturali sono semplificate e condensate e racchiuse in una linea circonferenziale immutabile, come da una moltitudine di confusi suoni si estrae il motivo unico e rivelatore. In tutti i tempi, dagli Assiri ai Romanzi ai Barocchi, si è composta nell’ornamentazione la pianta quale appare, ma sempre in armonia e in contrasto di forme ideali e geometriche. In queste linee moderne si può togliere o aggiungere senza danno, tanto sono incerte, e questo dimostra chiaramente la mancanza di criterio artistico e la ignoranza di ciò che è stile. Esse non hanno stile, ma sono il prodotto di una pazza maniera e del cattivo gusto tedesco; che se tali pazzie potevano sorgere oltr’Alpe, da noi si doveva sostenere inamovibile la legge della bellezza contro i barbari, e difendere i confini come se di là venisse per fiaccarci un morbo vergognoso. Presto l'invasione sarà completa: i monumenti, le scuole, i libri, tutto, sarà moderno stile. Sino ad ora avevamo soltanto la mediocrità ufficiale, adesso abbiamo innanzi la nova mediocrità invadente che si unisce all’antica, e la fiumana per molto ancora sarà sulla nostra terra.
È certo che gli spiriti solitari ripugnano la lotta contro un nemico indegno; ma l'offesa troppo da presso sale, e bisogna combattere con tutte le nostre forze poi che i predicatori dei mediocri diffondono con i giornali maggiori la dottrina nova. Dobbiamo ringraziar Torino perchè ci ha mostrato i frutti dopo tante predicazioni, rafforzando la fede nelle anime elette, insegnando quello che non dobbiamo fare. Alcune di queste anime erano là solitarie, lontanissime da quella turba invadente, vicine a noi per il culto del passato e per la loro aspirazione alla Bellezza; e l'opera di una di esse rivela i sogni che ama e il mondo che s’è creato. L'abitatore della casa che vuol circondarsi di immagini ideali, come delle persone che ama, riconoscerà le creature elette dall’artista, accorrerà a lui per godere di quel mondo e per arricchire la vita di un dono sovrano.
Noi dobbiamo solo stendere le mani perchè si riempiano di semi fecondi: sino alle sorgenti più lontane dovremo salire, sino alla polla che splende sotto il sole e irriga la terra fiorita. Gli Etruschi diffondono ancora una luce meravigliosa con la loro arte splendente e profonda; nelle campne solitarie fiorisce ancora un’ arte antichissima come la stirpe.
Ancora i plaustri accesi e fioriti solcano le arie cinte di siepi odorose; ancora le prore e le vele delle navi portano segnati i simboli antichissimi delle acque e del cielo; ancora le spole sull’antico telaio ripetono con ritmo i segni tradizionali; ancora i cocci, le arche, le vesti, i canti, le parole hanno la bellezza antica. Ritorniamo a queste sorgenti, riconosciamo le nostre forze, esaltiamo le nostre speranze.
◄ Fascicolo 1
◄ Alfonso de Karolis