Leonardo

Fascicolo 3


L'Uomo Dio
di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
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...swaz der mensche
minnet daz ist der mensche.

MEISTER ECKART


Vi sono delle persone che le parole spaventano: «Dio» suona male pei bigotti dell'ateismo e «religione» mette loro il ribrezzo; io non son così primitivo da annettere un poter misterioso alla parola; quando mi accomoda e mi garba non ho timore di nulla e me ne servo per notare il mio pensiero; negare per rifiutare è cosa da menti desiderose di povertà: io preferisco negare per fare mio. Alle parole non chiedo albero genealogico, nè stato di servizio; non mi preoccupo dei passati loro padroni, nè delle idee cui sono state veste o nascondiglio; ma sempre le ribattezzo, e attribuisco loro quel significato che più mi talenta; le parole invero mi sembran fatte per servire, non per essere servite.
   Assai comodo mi è quest'oggi il nome di Dio, per esprimere con esso il punto cui alcuni ciecamente tendono, cui pochi sono giunti con piena luce; onnipotenza del pensiero.
   L'Uomo-Dio non è un'ideale, ma una realtà; ideale infatti è cosa non raggiunta, talora irraggiungibile, che manca dunque e col suo mancamento fa dolorosa la vita. Poichè desiderio è dolore.
   Il super uomo ci vien presentato come il non plus ultra, come tipo massimo e completo dell'esistenza, cui sacrificare nel presente le nostre forze, i nostri desideri, la nostra vita; Uomo-Dio invece non è schiavo del futuro, ed ha tuttavia spezzato le catene del passato; egli è cosa presente, o non è.
   Non sarebbe perfetto se desiderasse: nè può essere desiderato, Perché appena se ne ha piena coscienza è raggiunto.
   ll mistico tedesco pensava raggiungere Dio con l'amore; «chi ama una pietra è quella pietra, e chi ama Dio.... non oso continuare» — diceva rivolto agli uditori — «perchè voi mi lapidereste»; così l'audace maestro Eckart. Noi raggiungiamo la divinità col divenire coscienti di averla creata.
   Non è mio metodo giustificare le mie opinioni; anzi il contrario; non aver metodo alcuno mi sembra però migliore cosa per poterli tutti possedere. Ogni programma, ogni progetto di itinerario è limitazione. Solo chi nega tutte le fedi può tutte signoreggiarle.
   Perciò oggi mi piace brevemente accennare a quello che i volgari dicono realtà e fatto, che delle cose esistenti sono la parte più grossolana; e posta sul viso la maschera del ricercatore obiettivo cercare nella filosofia contemporanea fondamento ai miei pensieri. E questo un processo retroattivo della ragione, universale ma ai più sconosciuto, per la profonda ignoranza di sè stessi come esseri psichici. Noí agiamo e concludiamo col pensiero, poi ci mettiamo in regola coi fatti e con la logica; le piccole menti soprattutto che odiano il nuovo e si scandalizzano per l'originalità han bisogno del passato dove cercare la giustificazione degli atti presenti; il volgo non lo si convince mai così facilmente che col mostrargli che una cosa e già stata fatta; mentre questa stessa ragione può allontanarne l'uomo desideroso di singolarità. Io oggi seguo la strada comune; ma ben diversamente dai più, pei quali è bisogno, per me invece gioco; io con piena coscienza stilizzo dialetticamente il processo mentale che quelli adottano con servilità.
   Tutto tende a tornare a la sorgente sua, a l'individuo: e prima il mondo esterno, pel quale più di due secoli di polemica idealista ci fornirono il destro di abbracciarne e far nostra la realtà. E devo qui ricodare primo Emanuele Kant, la cui terminologia rese aspra la strada alle sue cime, che attribuì all'intelligenza dell'uomo le prerogative che l'antica metafisica diceva di Dio solo; pel Cristianesimo il pensiero divino produceva il mondo: la Critica della ragione pura afferma che il pensiero dell' uomo costruisce l'esperienza, cioè il proprio mondo. Questo però è povero e timido idealismo che lascia sussistere la mostruosa, inconcepibile, inutile «cosa in sè» e concede a l'altruismo e al senso comune l'esistenza di altri individui al di fuori dell'io; dove s'era fermata la terribile logica di John Stuart Mill non si ferma il pensiero audace di R. Lewins, Miss Nadell, Mc. Crie, e nega senza reticenze l'esistenza in sè non solo delle cose, ma dei simili e dissimili nostri; finalmente esclama col baccelliere della seconda parte del Faust:
       «Prima di me il mondo non esisteva — esso è mia creazione.»
   Gli altri esseri non sono che parti di me stesso, sorgono come mie creazioni, e l'eterno flusso della mia mente li fa apparire e sparire. — Capacità di creazione, universalità, i primi aggettivi divini sono raggiunti.
   Le lunghe discussioni sull'infinito, che alcuni anni addietro tennero desto il mondo filosofico, mi pare possano riassumersi in questo che l'infinito non è il reale, non è in atto, ma bensì in potenza nell'individuo. Nessuna cosa si presenta a noi che non possiamo immaginarne una maggiore. L'infinito è in noi ed alle cose noi lo doniamo.
   L'eternità è l'infinito nel tempo; non solo; essa è l'idea contraria alla morte, e questa non è concepibile perchè non ne abbiamo esperienza; morte nel senso di nulla, di fine completa, è un puro suono vocale di cui noi siamo zimbello quando crediamo pensare pronunziandolo; l'esistenza sola è reale; il nulla non è.
   Gli scienziati han sempre negato il miracolo; un ente di fuori dalle leggi della natura capace di infrangerle e correggerle, era cosa per loro inconcepibile. Questa critica assai giusta, servì come tutte le critiche, ed ebbe l'effetto di trasportare il miracoloso dalla divinità a l'individuo uomo. Cosa è infatti ora per molti il miracolo, per il Sabatier ad esempio, se non una forza nascosta e misteriosa, poco osservata ma non rara nella vita, che si manifesta non già negli uomini comuni semiaddormentati e incoscienti della loro potenza, ma in pochi individui che per questo appunto son detti santi geni profeti? Siate S. Francesco e pensate il Crocefisso, avrete le stigmate; siate Darwin e leggete Malthus, intuirete la lotta per la vita.
   Lo stesso Sabatier, e il Negri ed alti, potrei citare per la religione; che sembra a loro dovere essere «spogliata di ogni apparato scientifico e dogmatico per rivelarsi come l'espressione pura e semplice di una idealità morale». Essa diventa così una forma di sentimento e di pensiero tutta individuale, che dall'interno e non dall'esterno ordine di cose trae ragione e fini per agire.
   Fuori del Cristianesimo poi, mi è caro qui rammentare un fine


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e sorridente pensatore pano H. B. Brewster che ringiovanisce la concezione antica di un confidente destino e degli dei; i quali sono per lui non altro che le nostre passioni, i desideri, le energie, i piaceri: i personaggi insomma della unità drammatica che è detta anima.
   L'arte, dal gretto volgare e quasi selvaggio criterio della esatta riproduzione delle cose, si va sempre più affermando come visione personale; e la coscienza nascente della trasformazione ideale di queste va formando nell'artista il desiderio sempre piú forte dei mondi irreali e delle creazioni fantastiche. — Onde ne l'Estetica, oltre un relativismo assoluto, si viene a porre come fondamento l'autonomia della immaginazione, e si gettano via come abiti troppo stretti ed inutili classificazioni, le vecchie retoriche e stilistiche. Così l'ultimo saggio filosofico di B. Croce.
   La scienza poi, questa avversaria del meraviglioso che vorrebbe mostrarci un futuro tutto uniforme al passato e legare i nostri atti e dar l'ostracismo ad ogni novità a venire, non è che un impoverimento della vita reale e uno strumento creato per fini pratici. Tale la mostrano H. Bergson, e Le Roy. Le sue ultime ipotesi, le sue teorie non hanno alcun fondamento nella realtà, e non mostrano altro che il nostro bisogno di comprendere i fatti in brevi e semplici formule; dice il Mach: «Tutte le concezioni teoriche della Fisica — calorico, elettricità, molecole, atomi, ed energia — devono esser considerati come puri espedienti ed aiuti per facilitare la nostra conoscenza delle cose.» A queste della fisica il Milhaud aggiunge la gravitazione per l'astronomia, e l'evoluzione per le scienze biologiche; e il Poincarè infine gli assiomi della geometria, non più tratti da l'esperienza come sosteneva il Mill, non più dati a priori come volle Kant, ma convenzioni poste da lo spirito con l'unico fine di evitare la contradizione. Anche qui dunque si afferma la sovranità dell'individuo non già la scienza ci viene imposta dai fatti, ma noi a questi imponiamo la scienza.
   La morale — e non accennerò a quella che è letteraria e non filosofica di F. Nietzsche — in varie e profonde dottrine si ricovera e trova la sua forza ne l'individuo. Cominciando da Kant che qui pure trasportò il divino ne l'uomo, poichè pose l'ordine morale nel nostro intimo e non già fuori di noi; l'imperativo categorico è nostra legge, non più legge data da Dio. — Un'altra morale non meno originale, e che pur non essendo la nostra, verrà un giorno sostenuta e criticata in queste pagine, fa consistere il criterio dell'azione, non più in una legge divina, o nell'esistenza dei nostri simili, ma invece nella dignità verso sè stessi; concezione criticabile, ma altamente individuale. Infine il prammatismo americano ed inglese, per bocca del James, fa consistere il compito della morale nello scoprire quale differenza importino due opposte o varie intuizioni del mondo, rispetto a me o voi, per la condotta nella vita. L'utilità individuale è dunque qui il criterio supremo della condotta non solo, ma pure della verità delle cose. Il James anzi in una delle sue ultime conferenze distingueva nettamente i giudizi esistenliali, da quelli valutativi; che una cosa esista o no — appartiene ai primi: dire il suo valore ai secondi; questo valore è indipendente da l'esistenza delle cose; che Napoleone sia epilettico, Savonarola monomane, e magari anche che Cristo non sia mai esistito, che importa tutto ciò per il loro valore? — È degno di nota il ravvicinamento facile a farsi con l'utilità del falso proclamata da F. Nietzsche.
   Passando alla morale pratica che alla teorica sta come l'arte a l'estetica — osserveremo l'evoluzione della vendetta mutatasi oggi per l'uomo nobile e dignitoso in disprezzo per l'offensore; la legge del taglione invero lo poneva alla stessa altezza dell'offeso, e la pena sembrava col danaro o col sangue riscattare il danno; ma oggi ogni multa, ogni carcere sono stimati inutili da chi si pone assai in alto per non essere offeso; l'indifferenza e il silenzio son diventate assai migliori armi del pugnale e della mannaia. L'uomo è veramente Dio allora, perchè intangibile; nulla lo può giungere, e il dominio interno del suo spirito lo salva da ogni nemico esterno.
   Dio prevede le cose; e l'uomo pure per mezzo della scienza; per essa traccia alle stelle il cammino nei cieli, e ne prevede l'incontro.
   Del futuro interno poi, che per la contingenza si libera da' legami del determinismo e dagli obblighi morali del libero arbitrio, noi abbiamo la precoscienza generatrice; noi sappiamo che tutto quello che sorgerà sarà nostra creazione e possesso e formatosi secondo gli schemi e le leggi della nostra conoscenza. Concludo: unico esistente, creatore del mondo, universale, infinito ed eterno, capace di miracolo, signore della verità, padrone del mondo per mezzo della scienza, profeta delle cose avvenire, — nulla più manca a l'essere assoluto, a l'Uomo cosciente della propria divinità per essere Dio. —
   Di questo approssimarsi dell'uomo alla divinità sono pure prova i nomi e le teorie di alcuni filosofi del secolo passato; la filosofia non è spesso che il rivelarsi alla coscienza del pensatore di quello che è tendenza sentimentale dei più, ma a questi ignóta; il filosofo la teorizza e ne dà la formula; ma con ciò solo la muta, le imprime un carattere personale, la dirige meglio ed esercita così una larga influenza su gli uomini; egli non è allora più uno specchio, ma un faro. —
   Di Uomo Dio parlarono nella prima metà del secolo passato quattro filosofi: I. G. Fichte, A. Comte, Feuerbach, M. Stirner; e quanto le loro teorie differiscano dalla nostra mi sarà facile mostrare altra volta; accennerò solo che il Fichte 1 nel suo più maturo pensiero è una specie di panteista, per cui l'esistenza unica e universale è quella di Dio, che si manifesta coscientemente negli esseri finiti; — che l'Uomo-Dio di Comte non è l'individuo, ma la specie, l'Umanità; — che Feuerbach a malgrado di certe sue profonda intuizioni egoistiche, fu l'inventore del «tuismo» dottrina morale assai prossima a l'altruismo; — che Stirner infine il più vicino a noi, per la sua durezza teutonica, per la mancanza del fattore idealista, per l'ossessione sua egoistica, non è che un rivelatore, un gradino, qualcosa che può, ed è stato sorpassato.


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