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La Via Appia
Nessuna terra come quella che circonda Roma è così ricca di vita e di bellezza, così densa di ricordi e di vestigia grandi e di segni forti, così ardente. Culla di pensieri terribili come le sue rocce sanguigne, asilo di mille immagini, di mille canti dì mille effluvi; ove í solchi e le linee sembrano segnati da uomini come Iddii possenti, ove le pianure son bianche di asfodeli e vermiglie dì papaveri, e le rive fluviali odorose di narcisi, e le vie gloriose con le tombe grandi come templi, e le acque senza misura, e i laghi fioriti nei crateri spenti, e le messi sterminate e i grandi incendi nelle notti estive, e dove il silenzio grande è rotto solo dal tuono di una mandria di puledri in fuga o da innumere gregge che migra sotto le stelle, e dove è la febbre che arde le vene. Colui che per la vita Flaminia da Faleria dalle rocce spaventose pel Soratte e per villa Livia, lungo il Tevere arborato e sotto la Grotta rossa, venga al Ponte Milvio Turrito; o dalla foce del fiume sacro per Ostia deserta per una via di solitudine venga a S. Paolo e alla cinta Aureliana, cui sovrasta la piramide nera; o da Tivoli, sonora per l'Aniene precipite, percorrendo una via dí febbre venga a S. Lorenzo; o da Vejo per la Cassia via, o d'Alba per l'Appia e si arresti al cospetto della città, che fumiga come immensa ara innalzando al cielo l'aroma della terra, sentirà prorompere il canto antico.
«O sol di vita, che col fiammante carro porti e celi il giorno, che sempre altro e sempre quello sei, nulla mai di ROMA guarda più grande».
«Nulla, mai!» Io pensava meriggiando nella Via Appia fra le are e le tombe mentre in ebrezza le allodole innalzavano il canto e una gran luce splendeva su tutte le cose, sui monti Laziali, sugli acquedotti, sulla pianura d'oro, sulle grandi pietre infrante e sul bianco marmo di un fregio e su un'antefissa e su un rudere che aveva al sommo un'alta ferula ardente come un piropo. Tutto era vivo e palpitante, quasi una vita indicibile ardesse quella via trionfale ove gli uomini avevano le tombe gloriose come quelle degli Iddii.
Vidi allora nel gran barbaglio intorno a me rivivere tutto un mondo con le statue, con i templi, con i circhi e con gli archi, e infinite creazioni passarono dinnanzi ai miei occhi attoniti. Un'altra città m'apparve con luce divina, immensa dall'Acropoli visione di bellezza della città d'avorio e di porpora col suo bianco porto e con l'Egeo azzurro. Atene era là presente con le statue immortali e gl'Iddii imperiosi, Atena era dinanzi a me con i grandi occhi, occhi vivi avvolta da uno sfolgorio insostenibile come quello del baleno.
Sorsi allora di sotto l'ombra dell'albero sentendo balzarmi forte il cuore come preso dal furore, dal sacro furore antico: profondato in un mondo lontanissimo sentii sublimarsi la vita e assurgere a uno splendore più possente di quello che luceva sulla fronte del sole, tesa ansiosamente verso quel prodigio. «O visione segui!» Ecco dinanzi l'altissimo platano ombroso sulle rive dell'Ilisso ove siedono Fedro e Socrate e parlano della bellezza e dell'amore, di Stelsicoro che offese Elena progenie di dei e perdè gli occhi, e come cantando la polinodìa recuperò la vista, e d'Omero che non conobbe la causa della sua cecità e mai non guarì. Altre parole, altre imagini, pensiero su pensiero si accumula come fiore su fiore per ghirlanda. «Oh, segui, segui!»
Un'altra luce tenera come quella della primavera miracolosa, un suono di una pastorale vanito nella lontananza dell'infanzia felice; oltre l'infanzia ancora più felice mondo misterioso come un mare mutevole senza fine dove mai non sí arresta, ecco quello dí un sogno..........
Un canto, un fruscio d'ali vicino.
Le cose riappaiono intorno, la campna fumiga, il velo delle apparenze, che per un attimo s'era sollevato, è ancora dinanzi bello d'oro e d'azzurro.
Io era per entrare in quell'altro mondo. Quale? L'antico mi aiuta. La vita non è forse che reminiscenza? «Dunque dovemmo in un tempo precedente imparare quelle cose di cui ci ricordiamo.» Io pensava «Ricordare è tutto il secreto? La vita come un breve ponte sospeso tra due misteri non è che una piccola e paurosa invenzione, sappiamo donde venimmo e dove ritorneremo, nessun mistero, mai. Se segui tua Stella...... L'eletto è il memore, egli solo cerca di esser degno di quella vita che gli appare nei momenti felici, nella grande gioia rivelatrice, nella grazia, nella pienezza e nel sogno. Questi momenti di lucidità sono come spiragli aperti su quel mondo di quella Stella. Tra gli uomini immemori e quel mistero appare il miracolo, il rivelatore, l'artista. Per questo noi amiamo immergerci nelle più alte finzioni dell'arte non solo per obliare ma per ricordare, e imrnergerci in un torrente di forze sconosciute, in un cielo di suoni, di visioni e di colori e nelle più nobili immaginazioni che non esistono intorno alla nostra vita sino a tanto che non viene questo messo che ricorda a noi l'origine divina.
A Esiodo, mentre pasceva le agnelle alle radici del divino Elicona, le Muse insegnarono un bel canto e gl'infusero una voce divina perchè cantasse le cose che furono e che saranno e le stirpi dei beati in eterno. Le veraci figlie dell'Egioco Giove dalle candide membra, velate di molto aere, con bel suono e con argentea voce sono per l'antico poeta quelle che sollevano il velo perchè egli scopra ai mortali il mistero dei cieli divini. Non diversamente può comprendersi il continuare e il sorpassare la natura, ossia dar forma perfetta e divina a tutto quello che intorno a noi ci appare come un pallido riflesso di un altro mondo.
«O Zeus è disceso dall'Olimpo per mostrarti la sua forma; oppure tu, Fidia, sei salito al cielo per vederlo.» Fidia o Michelangelo placanò l'ansiosa aspirazione umana rappresentando la divinità con immagini che non sono in natura; così nei geni che hanno creato e arricchito il nostro mondo è palese la tendenza a raffigurare idealmente, ossia con creazioni, la vita delle cose, l'invisibile. L'ardore con cui l'anima umana in tutti i tempi s'è protesa verso il sole Ellenico, e che oggi sembra voler divampare nel nostro mondo con violenza purificatrice dopo la lunga costrizione, altro non è se non il segno di una ascensione verso una superior vita creata dall'Arte. Queste rivelazioni dell'Arte formano intorno a noi un cerchio magico; entrati in quel cerchio cessa il tumulto circostante, appare un nuovo mondo, per un attimo, anche a noi, come al creatore, il velo si solleva, e ansiosi ci domandiamo dove altra volta abbiamo veduta quella meraviglia, — forse nel sogno.» Tali pensieri turbinavano in me tra quella polvere ardente in quella via culla dì eroi.
Al vespro, placato il tumulto, sentii quello essere stato un cammino verso la liberazione. Le meschine ombre, le piccole mete, i sentieri nascosti dove mi ero aggirato col peso delle carni mortali, la tristezza, il dolore, la certezza e la falsità, tutte le piccole religioni e le miserie umane e le commedie sociali sembravano perdute indietro snella polvere, dissolte nel gran sole.
Un lontano suono di un armento mi molceva l'animo, come quello del pastore inconsapevole nell'infanzia. Quando presso l'Almone nell'ultima luce mi ritrovai al cospetto delle nere mura, Roma sembrava una città omerica silenziosa come sotto una vicina tempesta, cupa come un'isola di pietra in mezzo a un oceano in pace. Sinistre erano le torri, solitaria era la porta, solitaria la via finchè apparve sotto le stelle la nera massa del Palatino terribile come un tempio titanico ove io dovesse ascendere per immergermi ìn un mistero sacro.
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Presso l'antica Carejae è un paese abbandonato e deserto, un luogo di solitudine e di rovine meraviglioso come tutti í luoghi che gli uomini chiamano malarici.
Come ad Isola e a Vejo qui è una ricchezza straordinaria di vegetazione. E chi, venendo dalla Via Cassia, in una mattina di primavera attraversi quei calli irnpervii affondando tra l'alte erbe irrorate, in mezzo a una grande delizia di piante e di fiorì, tra gli effluvii e i ronzii, tra i rovi e le boscaglie e le umide rocce crederà vivere in mezzo a una terra vergine e inesplorata piena di insidie e di attraenze. Giunti sulle rovine del ponte tra due alte muraglie di rocce vulcaniche, dove nel profondo coperto dagli alberi e dalle piante fronzute fa un calmo suono l'Arrone, ecco sorgere le rovine di Galeria, una torre e una muraglia sospese sul precipizio rivestite di edere di fiori e di rovi, popolate di serpi e di falchi. La solitudine è grande quasi spaventosa, il silenzio è profondo, dove cupo suona il torrente, la vita sembra sospesa, s'ode solo il rombo delle arterie, presi dal gelo della morte e dell'orrore circostanti. Ma in un attimo riappare la delizia e l'esultanza della Primavera; viene dal folto un appello di un usignolo, un soffio agita le cime degli olmi, la vita aspira quell'odor primaverile soave come d'alveare, e s'immerge ín quel gran palpito. Così mi riappare quel luogo dì rifugio dove io vissi giorni di oblio; giorni passati presso la fontana verde che immagina cotesti rami di un fico, o sulla piattaforma del castello tra le macerie e gli alveari dove l'estremo margine occidentale ha la capanna un apicultore nomade venuto dall'Umbria, o sulle rive del torrente in un piccolo letto di arena caro ai miei sonni profondi; dove amai e gioii e vissi ín meditazione come un'acereta fuggito dà rumor del volgo, dove i cieli mutevoli, i padiglioni verdi, le rocce sanguigne, le acque limpide e sonore, i giacigli verdi, i fiori da suggere e la divina veste della bellezza mi creavano un incanto sempre nuovo: e le rovine sacre come quelle di altri luoghi del Lazio suscitavano infinite creazioni come se quella rocca fosse veneranda al pari della collina d'Issarlik, e quel fiume eguale allo Scamandro dalle rive verdi. Non era forse vicina quella città etrusca e quel fiume Cremera così memorabili?
Ora quale gente nova distruggerà l'incanto e il rifugio? Dopo le tante rovine dell'Urbe per creare una terza Roma effimera quale destino oggi pesa sopra la solitudine dell'Agro? Perché distruggere quel sacro silenzio «da cui Roma è circonfusa per nove giri come da un fiume tartarico?» Dice Gabriele d'Annunzio: «... Qual più ermo più nudo e più tragico luogo può vincer questo nella virtù di accendere la scintilla sacra della follia in colui che si creda destinato a incidere su nuove tavole nuove leggi per l'anima religiosa dei popoli?» Oggi piccole case bianche e piccoli orti sorgeranno presso le torri e le sostruzioni dove un tempo splendevano le città etrusche o latine, dove noi nella giovinezza accorremmo ansiosi per rivivere le leggende eroiche. A Vejo, a Fidene, a Tuscolo, a Gabii, a Laurento, in mille luoghi sacri al sogno e alla solitudine noi costruiremo, pianteremo filari appianeremo le rocce, apriremo le vie per ridurre questa terra eguale a quelle dell'Umbria delle Marche e della Toscana. La distruzione della bellezza ormai procede a grandi passi dalle città alle campne, nè varrà poi apporre delle tabelle marmoree in ricordo; ormai la terra che accolse tanti spiriti eroici sarà eguale a tante altre terre. Cosi vuole la novella civiltà livellatrice.
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