Leonardo

Fascicolo 8


Alle sorgenti dello spirito
di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
pp. 4-5
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Les mots ont été inventé pour les usages de
la vie, et ils sout malheureux, inquiets et
étonnés comme des vagabonds autour d'un
throue, lorsque de temps en temps, quelque
âme royale les méne ailleurs.
MAETERLINCK   Tr. d. H. 124.


FUNERALI DEL POSITIVISMO

I

   Si soglion paragonare le cose menzognere agli epitaffi: e si potrebbe fare altrettanto di tutte le orazioni funebri; i cimiteri sarebbero da consigliarsi come luogo di soggiorno ai malinconici amanti delle virtù classiche, pane o cristiane, che sembrano aver fuggito il mondo per darsi ritrovo in quei solitari e silenziosi luoghi; evidentemente Pangloss, il filosofo che trovava il nostro il migliore dei mondi possibili, doveva esser nato fra i morti: perchè quando non siamo più vivi, diventiamo tante arche di virtù. — Corre per le strade della morale comune, ancora non legalizzata - ma poco ci manca - il detto che ai morti si debba dare pace: e davvero pare che ogni morte susciti con sè piogge di menzogne per lavare ogni odio umano; sembra che la pietra del sepolcro trattenga così bene il cadavere, che ormai sia inutile affannarsi contro chi non può più nuocere; e il nascosto interesse umano che regge ogni atto di pietà e di cortesia, si manifesta qui pure col trasformare l'indifferenza in riverenza pei morti. Ma da che scienze biologiche e sociali, e fin le ultime metafisiche si trovan d'accordo per non credere morti i morti, ma per farli riviver dentro di noi sotto forma di malattie di istinti di tendenze confuse o nette, e fuori di noi sotto forma di abitudini delle masse, di sentimenti e conoscenze ereditarie e di forze poste in moto verso certe direzioni, bisogna preoccuparsi anche di loro e difendersi e offendere come se fossero non più disfatti e finiti, ma quasi anche più vivi e più forti, perchè più nascosti e sconosciuti di quel che non ci siano i vivi.

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   Siamo accomunati qui nel «Leonardo» più dagli odi che dai fini comuni; miglior cemento in verità; e ci riuniscono più le forze del nemico che le nostre. Positivismo, erudizione, arte verista, metodo storico, materialismo, varietà borghesi e collettiviste della democrazia - tutto questo puzzo di acido fenico, di grasso e di fumo, di sudor popolare, questo stridor di macchine, questo affaccendarsi commerciale, questa chiasso di réclame son cose legate non solo razionalmente, ma che si tengon tutte per mano, strette da un vincolo sentimentale, che ce le farebbe avere in disdegno se fosser lontane, che ce le fa invece odiare perchè ci sono vicine.
   Noi siamo nemici del Positivismo che di tutti i passati per essere il più vicino, più grava su noi. Praticamente, per meglio sentire il nostro odio, è bene esprimere parte a parte ciò che ci distingue e ci contrappone a questa età che sta per finire; chè, se diremo cosa è stata rispetto a noi, e quali noi ci sentiamo di faccia a lei, riusciremo ad esserne più profondamente separati ed avversi.
   Dei dualismi universali che ad H. Bergson servirono a mostrar le sue tesi della contingenza e dell'io profondo (e chi sa che noi non restituiremo un giorno l'unità a quello che il filosofo ha separato), uno, quello di quantità e qualità, ci rivelerà l'opposizione fondamentale che è fra noi e il Positivismo: questo con tutte le sue varietà, e con tutte le tendenze vicine che posa sul quanto: noi che ci opponiamo il quale. Che ciascuno analizzi il proprio spirito, e troverà che sotto queste due categorie potrà disporre le esperienze che ha di sè e del nemico.
   Anzi. voglio segnarne alcune in questo momento presenti al mio spirito. Alla civiltà meccanica noi vogliamo sostituirne una estetica e spirituale, e come gli avvocati hanno fatto la società borghese, e i medici e gli ingegneri (i primi soprattutto) si preparano a fare la collettività, così la nostra sarà creazione (e ricorderà il miracolo della Grecia) di un popolo di filosofi e di poeti. Ad ogni forma di vita esterna opponiamo le varietà della vita interna, e come ci rifiutiamo di valutare gli uomini per il numero di libri che han letto, e di schede che hanno raccolto, di fatti che hanno ammucchiato, e invece li consideriamo per le idee generali e per le intuizioni di cui sono stati capaci, così non vogliamo che la memoria prenda il posto della creazione, nè che con le forme più basse dell'esistenza si cerchi per sovrapposizione quantitativa spiegare le più alte, che sono qualitativamente diverse. (metodo questo che sí potrebbe dire plebeismo intellettuale). Al mondo esterno che creerebbe in noi e sentimenti e conoscenze e volontà, all'ideale passivo della psiche, noi abbiamo già sostituito quello dell'io centro creativo e valutativo del mondo, all'uomo-macchina l'uomo-Dio. In politica - talora ci piace dimenticare noi stessi un momento per insudiciarci con tali cose - non è la volontà dei più quella che secondo noi dovrebbe trionfare, ma quella dei migliori.
   Bisogna riconoscere che non siamo i soli che compiano questo rovesciamento degli ideali positivisti. Nel campo stesso della psicologia ufficiale e sperimentale si osa affermare la memoria essere fatto creativo (così il prof. de Sarlo - e prima di lui credo il Titchener e il Goury). Una cosa simile accadrà quando non si andrà più a ricercare le origini dei sogni e la loro spiegazione nella vita giornaliera, ma bensì le ragioni e l'origine di molti atti e del colorito generale della vita d'ogni giorno nei sogni. Così quando il linguaggio interno sarà considerato generatore e non generato dal linguaggio esterno: e per quali ragioni e in che senso, vedremo altra volta.

II

DEL SOGNO 1

   I sogni sono rivelatori degli stati d'animo più intimi e più nascosti dell'individuo e possono esser fattori di stati psichici eccezionali ed anche comuni, quale è l'umore del giorno. L'ammettono gli stessi positivisti 2.    Basterebbe quest'ultimo fatto - di cui molti credo hanno esperienza personale - per notare l'importanza del sogno nella vita; poichè l'umore del giorno, non è altro che il modo con cui noi accogliamo e rifrangiamo le cose - quindi un fattore della conoscenza, e quel che è più un fattore di benessere o di malessere; le giornate in cui neppure una disgrazia giunge ad abbattere la pienezza della nostra vita, la sicurezza in noi stessi, sono forse un magnifico dono del sogno.
   Riesce strano allora che il senso comune e la scienza mostrino insieme antipatia per il sogno (giacchè esistono simpatie e antipatie anche fra gli scienziati, e i fattori sentimentali della scienza sono assai più numerosi e importanti di quel che non si pensi); per i più il sogno è uno stato passeggero, inutile per l'uomo, uno stato inferiore della mente, che ripete,


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disordinate e più languide, le rappresentazioni le preoccupazioni le emozioni del giorno, per la scienza il sogno è uno stato simile alla pazzia, e tutte le vicende intorno ad esso lo ravvicinano alle malattie mentali.
   Chi poi osa fare teorie metafisiche sul sogno o crede che esso abbia importanza grande nella vita, o che sia annunziatore di avvenimenti futuri od altre misticherie del genere, non è che un paranoico, un pazzo, la cui mentalità è bassa e rappresentante un antico stadio dell'umanità selvaggia. (DE SANCTIS, I Sogni, 214). Malgrado dell'anatema positivista io continuerò a credere che il sogno non sia altro che una vita individuale più profonda e in tal senso più vera della giornaliera; che in esso ci venga rivelata l'attività di quella coscienza che è stata detta incosciente e che al di sotto della vita sociale, spaziale e logica, si svolge temporalmente, individualmente illogicamente; che questa attività sia quella da cui derivano le parti più belle di noi, cioè quei giudizi improvvisi che trascinano seco tutta la nostra anima, quelle potenti immagini che l'occupano intera, quegli istanti di dimenticanza del mondo in cui noi ci sentiamo unici di tutti quei momenti creativi che soli rendono la vita comune degna di esser vissuta perchè è il luogo ove si manifesta di tanto in tanto l'annunzio di un «al di là della vita» di un regno dello spirito puro.
   Il sogno è dunque sempre alla soglia della nostra coscienza giornaliera, pronto a sorgere quando qualche sensazione o qualche nostra profonda azione interna lo richiami in noi, e ci porti seco nella sua vita. L'ispirazione dei poeti è divina se il sogno è un dio che detta loro le sue creazioni; e l'artista non è che un uomo che in una o più direzioni della sua anima (cioè nei sensi) viene a dare libera via al sogno. Ed ecco spiegato quella dualità spesso profonda fra l'uomo e l'artista, fra l'uomo e il filosofo: l'uomo e l'anima comune, sociale e volgare, mentre l'artista, il filosofo sono la manifestazione di una vita individuale. Le opere d'arte e di pensiero non sono che ombre di quei fantasmi lontani dell'altra vita, sempre vicina e pur non sentita, che è il sogno.
   Fra le anime comuni e superficiali nostre è facile l'unione; le persone grossolane legano presto amicizia; le folle si trovan facilmente d'accordo; e nel riunirsi gli uomini intelligenti perdono la vita profonda per non lasciare che la superficiale: perchè quel che si somma è l'omogeneo, il quantitativo, mentre l'individuale e qualitativo resta escluso e perso. L'amore e l'amicizia superficiale son cose d'ogni giorno: ma è difficile trovare due anime che possano, non dirò confondere i loro corsi, ma sentirne il palpito attraverso le brutalità dell'espressione. Noi siamo in ciò come Lohengrin, il cavalier del cigno, dal passato e dal nome sconosciuto: più la nostra vita personale, quella che non possiamo nè donare nè palesare altrui, sarà alta ed avrà del divino, e più ci sarà difficile esser compresi; potremo vincere Ortruda che ci combatte, ma come persuadere Elsa che non ci intende!
   Perchè l'anima nostra è incomunicabile; questa è la più grande scoperta che abbia fatta il pensiero umano. Ed è perciò che il problema della espressione diventa sempre più in psicologia, in teoria della conoscenza, in estetica il problema dominante; che noi possiamo comunicare i nostri stati d'animo ad altri — è un presupposto necessario alla vita sociale ed alla scienza; ed ecco perché con tutte le smentite continue che la storia del pensiero ci offre, questo presupposto è da tutti accettato senza discussione. La contingenza ha il merito di averlo messo in dubbio; ed ha il merito di averci fornito anche una spiegazione, col distinguere l'anima profonda dalla superficiale. Quello che alcuni poeti e pensatori, in cui la sensibilità prevaleva su l'immaginazione avevano intuita, esso lo ha espresso, e ce ne ha resi coscienti. Un nuovo strumento di vita e di innalzamento ci è così offerto: la sicurezza della solitudine, l'impero dello spirito, la possibilità della separazione dalla materia.

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   Il miracoloso equilibrio intellettuale degli imbecilli, la normale sensibilità dei cretini 3 rimarrebbero scossi da queste fantasticherie che nessuna autorità protegge. Ma ascoltiamo: nel silenzio filosofico del nostro tempo (in cui il Wundt pensatore degli accordi e dei mezzi termini - si ricordi la sua definizione di filosofia - sembra a molti un grand'uomo, e trova apostoli e strombazzatori) nel silenzio suonano delle trombe d'argento che cercano e destano eco.
   È il d'Annunzio che - ricordate la siepe - ha rappresentato l'inviolabilità delle anime erotiche; è il poeta del mistero Maeterlineck che dice: «il sublime positivo è finito» - «il dominio dell'anima si estende sempre più, tanto da dirci prossimi a un periodo spirituale;» è il filosofo, il legislatore del mondo, H. Bergson che ci annunzia la scoperta dell' io profondo e ne pone la ricerca come fine della filosofia; è il Myeres che raccoglie e vaglia i fenomeni telepatici, spiritici, di doppia vista ecc. e li spiega con la «sublimmal cousciousness»; è il Remacle che distingue la psicologia vissuta dalla costruità; è il James che sui fatti e sulle teorie del Myeres, del Podmore, del Gurney fonda la sua credenza alla immortalità umana. Ma se questa duplicità della coscienza non fosse, come è, affermata da poeti, da metafisici, da psicologi, e da scienziati, quando nessuno osasse sostenerla, e nessuno avesse il coraggio o la tentazione della illogicità - perchè non dovremmo noi fare nostra questa teoria cosi feconda e cosi bella? Chi ancora avrebbe l'illusione e il pregiudizio del vero?

III

L' AVVENTO DELLO SPIRITO

   Chi dovesse fare la storia del sogno, (e si noti che la storia delle cose, non è che la storia del modo con cui le cose furono considerate, ossia, la storia dei punti di vista, dei fuochi per cui passò la nostra elissi) dovrebbe considerare anche il momento in cui il sogno diventa volontà di sognare. Il sogno come ideale di vita è il più alto punto dell'esistenza; l'educazione del sogno è infatti possibile, anzi, ne è possibile la quasi continua realtà. È uno stato che io potrei dire mistico; cosa è infatti il misticismo? È la volontà di far predominare in noi l'idea che riconosciamo più degne di noi, di farla dominare ad esclusione delle altre, di farla impadronire della nostra persona ne sentimenti e negli atti, di farle assorbire la nostra esistenza. Ora quale è il mio misticismo - laico ed ateo, ben inteso? È l'ideale del sogno, l'abolizione del lavoro e l'abolizione della comunicazione, il predominio del sentire sul volere. Cosa è ciò, se non la via verso lo spirito? La materia - quando dal supremo piano del monopsìchismo vogliamo passare all'ammissione di qualche cosa di esterno - la materia non è che l'espressione di altrui volontà su di noi, non è che il subire l'ambiente, Il puro spirito è quello che non sente che sè stesso, che ha, abolito l'azione senza abolire l'attività, cioè ha cessato di esprimersi per vivere. La teoria che dice nel sogno abolita la volontà si accorda con questo che il sogno abolisce la materia. In tale piano di conoscenza essa non è che l'effetto subito da noi da parte di volontà cause esterne, e il corpo appare essere l'ombra dell'anima.


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