Articoli di Giovanni Papini

1903


Al di là della vita
Pubblicato in: Leonardo, anno I, fasc. 7, pp. 1-3
(
1-2-3)
Data: 29 marzo 1903


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1

Io domando: Chi è colui che è proceduto più
innanzi? Perchè io voglio procedere più innanzi
ancora!
WALT WHITMAN


I.

Se parlare e sillogizzare di vita significasse, per coloro che guardan profondo, vivere più intensamente, l'antico Elios non avrebbe forse ancor contemplata un'età cosi viva come la nostra. Con qualche secolo di ritardo abbiamo scoperto finalmente che noi siamo, avanti tutto, dei viventi e dopo la filosofia dell'essere e dopo quella del conoscere, ci siam dati attorno per costruire una filosofia della vita. Guyau e Nietzsche, per non dire che de' più famosi, hanno posto a fondamento delle loro meditazioni l'affermazione della vita piena e completa, e mentre i vecchi pensatori fingevano di giustificare la vita colle dottrine, gli ultimi chiedono alla necessità vitale approvazione delle teorie. Come tentativo di varietà l'impresa non e da sdegnare, per quanto la sconfitta ontologica e quella gnoseologica possano far temere alle menti pacifiche una terza disfatta. Ma c'è qualcosa di più triste di questo timore ed è che la vita, tramutandosi da realtà in idea, ha perduta la parte maggiore della sua ricchezza. Il concetto di vita, quale lo presentano i filosofi ricordati, è in fondo concetto volgare, povero e angusto come la vita volgare. È, per dirlo subito, idea di vita esteriore e sensuale. Vivere, significa, per la maggioranza, prender parte alla commedia e all'accademia politica, conquistare delle femmine più o meno belle e più o meno stupide, fare il giro del mondo portandosi dietro molta noia e molte valigie o andare a farsi stroppiare in battaglia pel sogno di un conquistatore o per la retorica della patria. Per una donna - mi si perdoni se per comodo di prova prendo il massimo della indigenza mentale - l'uomo che ha vissuto è un ufficiale che conta due ferite, cinque duelli e dodici amanti. Gli altri non sono che delle ombre di vivi, hanno delle aspirazioni di vita ma non vivono. Chi sta nelle astrazioni, chi si pasce di sogni, chi gioca d'idee non è un vivo, non conosce la vita, la vita vera e reale.
   Il solitario anacoreta che in cima al monte nudo, nella cella visitata sol dalle rondini e dal sole, sta prono nell'estasi delle sue visioni d'oro, nel suo sforzo indicibile di purezza interiore - Benedetto Spinoza che nella sua piccola camera, nella quiete di una citta olandese, crea l'edificio razionale piu vasto che abbia generato mente d'uomo, - Emanuele Kant che senza uscire da Konigsberg, senza conoscer amore, senza far parte di ministeri, ha dato al pensiero moderno l'apparecchio della sua critica, che ha servito anche contro di lui, non sono, secondo la concezione comune, dei vivi sono lontani dalla vita, lontani dal mondo. Lotze e Taine, dinanzi a Sigismondo Malatesta o a Cecil Rhodes, sono dei morti: un moschettiere di Alessandro Dumas e il tipo del vivente e i neo platonici non erano che una setta di defunti sofisticanti.
   Per quanto io sia infinitamente addolorato dal trovarmi così spesso in discordia coi miei contemporanei non posso nascondere che anche in questo caso io son portato a credere precisamente l'opposto. La vita, che si usa chiamare astratta, non e che una forma diversa di vita - il mondo che si dice irreale, non e che un mondo diverso dal mondo quotidiano.
   Vi sono, fra gli uomini, due grandi tipi di vita: l'esteriore e l'interna ed io dubito forte che la prima sia più ricca e più intensa. La rarità e oscurità delle manifestazioni esteriori ha fatto credere agli uomini, che non sanno giudicare che da ciò ch'è superficialmente e agevolmente visibile, alla mancanza o povertà della vita intima. Ma coloro che sentono in se stessi, nel più profondo del loro essere, lo scorrere perenne, indicibile e irripetibile della coscienza, sempre nuova, sempre piena, sempre crescente, possono ben sorridere, quando n'abbian voglia, delle avventure di un Don Giovanni da guarnigione e delle gesta oratorie di un eroe da piazza e da parmento.


 
2

   Agitarsi e parlare son presi come segni di vita e chi poco si muove e poco discorre è tenuto vicino alla morte. Si dimentica che ogni moto e ogni parola è una limitazione, che ciò che si tenta è inferiore sempre all'intento, che ciò che si dice è sempre più piccolo di ciò che si pensa, che, in una parola, ogni esteriorità è un impoverimento. I saggi di tutti i tempi crearono i loro Dei immobili e silenziosi, e li posero al disopra della vita e della morte.
   Per ora soltanto la religione ci ha trasportati si in alto, chè anche esteso il concetto di vita come io voglio, é affermata la superiorità della vita interna sull'esterna, resta pur qualcosa da chiedere e da superare. Può la filosofia condurci per vie non tracciate, e additare all'ansia del navigatore una terra che non segnò nessuna mappa umana?
II

   Vi sono dei cerchi che nessun negromante ha tracciato e che nessun uomo sa sorpassare. Tali, nel mondo esteriore, quello dello spazio — o, nel mondo dell'uomo, quello della vita. Come non si sanno concepire svolgimenti di fenomeni che non siano spaziali, cosi non si arriva a immaginare qualcosa che non sia vitale.
   Se voi chiedete alla logichetta quotidiana cosa c'è oltre la vita, vi risponderà che c'è la morte, e crederà fermamente aver detto qualcosa. Se lo dimandate al cristianesimo o a qualunque spiritualismo volgare vi dirà che c'è un'altra vita, dolce o triste secondo avete o no obbedito a certe abitudini che i secoli fecero leggi.
   E chi non è attratto da questo miraggio plebeo di una seconda vita, che viene figurata, e necessariamente, come specchio più o meno fedele della terrestre, chi trova, come Schopenhauer o come Mainländer, ch'è pur troppa la prima vita, non sa ascendere a qualche concezione superiore a quella vitale e ricorre all'ultima affermazione dell'annientamento mondiale, unica salvezza dal weltschmerz.
   E coloro invece che vollero accettare le apparenze e dissero sì alla vita; e foggiarono sulle alte montagne, come Federico Nietzsche, un sogno imperiale di volontà di potenza e immaginarono una nuova umanità forte e feroce, seppero forse uscire dal concetto di vita? Il poeta-filosofo di Röcken salì dall'uomo al superuomo, affermò una vita più ampia e più intensa e più libera, ma anch'egli, malgrado che fosse uso a guardare al di là dei mari, non seppe uscire idealmente dal cerchio della vita.
   Volere la vita, volere la più grande vita, ha forse un qualche senso?
   Chi vuole e desidera non ha; sarebbero dunque dei morti coloro che vogliono la vita? Se vivono, non sono forse, essi stessi, una corrente di atti di vita? Volere semplicemente la vita non ha dunque alcun senso: volere una più forte vita neppure. Se la nostra vita è piccola e povera, se noi non siamo capaci di più grande energia, poco può fare il nostro desiderio e nella sua espressione finisce spesso il nostro accrescimento.
   Se invece noi siamo capaci di maggiore vitalità, se in noi sono in potenza delle nascoste energie che usciranno vittoriose alla conquista del mondo, il proclamare il nostro desiderio è inutile perchè cresceremo spontaneamente anche senza esprimerlo, ed è forse dannoso perchè la sua espressione ci toglie una parte della nostra forza.
   Se qualcosa dobbiamo volere, se al ritmo di qualche bel sogno dobbiamo far danzare la nostra anima, vogliamo dunque qualcosa che trascenda la vita, per la quale la vita sia un gradino da superare e nulla più. Andiamo, senza ascendere ai cieli teologici e senza abbassarci alle terre umanitarie, al di là e al disopra. della vita!

* * *

   In questa ascensione ci son di scorta — perché no? — delle belle leggi empiriche e metempiriche.
   Chi di voi non ha scoperto, in qualche istante di lucidezza sintetica, quella legge ch'io chiamerei del finalismo suicida? Ogni cosa, giunta al suo colmo, tende a sparire o a dar origine a qualcosa di diverso. Qual'è il fine delle leggi se non di creare un tal complesso di abitudini interne che le renda inutili? Qual' è il fine del pensiero se non quello di mostrare la sua perpetua e ineluttabile contraddizione? Qual'è il fine della società se non di stabilire fra gli uomini quello spirito sociale che renda superfluo ogni ordinamento di stato? Qual'è il fine dell'educazione se non quello di render l'uomo capace di vivere senza nessuna guida, cioè senza educatori? E, prendendo la legge nel più vasto significato possibile, ogni azione non tende forse a render inutile sè stessa, a instaurare il suo contrario, il riposo? Così sarà della vita, la quale, arrivata alla sua più alta espressione, dev'esser la matrice dalla quale deve scaturire un modo di esistenza più nobile e perfetto che stia alla vita, come questa sta al sonno inorganico.
   La metafisica evoluzionista, che si è mascherata scientificamente con Darwin, e s'è smascherata con Spencer, non può contraddire a questa futura elevazione. Se il mondo non è che un processo sempre più elevato e complesso, noi dovremmo giungere, lentamente e sicuramente, alla creazione di uno stato nuovo, che sia al di là della vita. Se la collana prodigiosa che fanno splendere a' nostri occhi orafi evoluzionisti è, come essi affermano, cosa eterna, nessun dubbio posata, e non dia origine, dopo il giro biologico, a un giro super biologico.
   Questo sogno che par temerario correrebbe forse il pericolo di esser dedotto logicamente? Una cosa vi si oppone: che noi non possiamo in nessun modo, non possedendo che dati vitali, prevedere come potrà apparire questo stadio supervitale. Noi costeggiamo l'indefinito, il vago e gli scienziati hanno degli strumenti troppo grossolani per afferrarlo.
   I filosofi sono più coraggiosi e pid delicati: non sono come i bimbi che hanno paura dell'oscurità ed hanno l'ingenuità di credere che è reale anche ciò che non si può misurare o non si può dire. Per lunga tradizione sono amici delle nebbie e delle parole strane, che sono due cose divinamente separatrici. Già Claude Bernard e, avanti lui, il Jouffroy affermavano che la filosofia ha per dominio lo sconosciuto ed io trovo che i filosofi sono molto felici di non dover starsene rinchiusi tra le cose solite e note.
   Vi sono dei sottili stati d'animo che la parola non può dire, dei sogni confusi che si ucciderebbero esprimendoli: son forse meno reali di una formula d'algebra o della descrizione di un insetto? Se la filosofia tende, come pare da non pochi segni, a essere più vissuta che detta, più sognatrice che logica, io credo che il problema del superamento della vita, sarà fra più amati del futuro.
   Ma noi possiamo fin d'ora intravedere che questa nuova infiorescenza sorgerà e prenderà dei caratteri da ciò che di più alto c'è nella vita presente, cioè dallo spirito. Noi possiamo affermare con sicurezza che pur possedendo caratteri nuovi, quali noi non possiamo forse immaginare, essa avrà dei fondamenti psichici. E a questa credenza ci conforta il continuo estendersi dello spirito e la parte sempre più grande che i problemi che vi sì riferiscono van prendendo nelle preoccupazioni de' pensatori.
   Mentre, presso i greci, la geometria era la scienza fondamentale, e nè secoli XVII e XVIII la fisica, e nel XIX la biologia, non siamo lungi dal credere che la psicologia diverrà la scienza dominante del secolo XX e si dovrà riconoscere la sua fondamentalità rispetto a tutte le altre scienze, che restano oscure senza di lei. E tutto questo affannarsi per possedere un orizzonte mentale più ampio e lo scavare in fondo all'anima onde scoprire un io più profondo e le ricerche di nuovi fenomeni psichici che rivelano lati insospettati della nostra potenza interna e il fatto che la lotta vitale va sempre più perdendo i suoi caratteri feroci per ridursi a battaglia di intelletti e che fin la guerra si va facendo più intellettuale e meno bestiale, son tanti segni sicuri di questa oscura germinazìone che farà balzare dallo spirito reso più forte e più libero la nuova esistenza non ancor sospettata. Nessun limite è ormai posto al nostro sogno e più lontano è il sogno più vicina e più alta è la gioia. La più grande vita, che sembra la cima delle aspirazioni degli uomini, non sarà che il piccolo seme da cui sorgerà lo stato divino, in cui si calpesteranno i superuomini come oggi le nostre mani frangono le mute pietre.

* * *

   O dolce tintinnio d'orologio casalingo che mi hai risvegliato in questo momento, io ti dovrei mille e mille volte benedire: Se fosse ancor vivo il costume selvaggio degli dei famigliari io dovrei elevare un piccolo altare a te, che mi hai tolto, colla voce sonora del tempo, al pericolo ch'io stavo correndo. Non ti sei tu avvisto, o nemico lettore, ch'io stavo facendo delle belle frasi e quasi cominciavo a prender sul serio il mio giuoco? Non hai tu riso, o maligno lettore,


 
3

vedendo il beffardo giocatore salire sui trampoli della profezia metafisica?
   E non sei diventato melanconico, o pietoso lettore, vedendomi preso nelle mie reti, come una volpe della vecchia favola?
   Io ti giuro solennemente, o vecchio orologio, ch'io non farò mai più di cosiffatte pazzie e ch'io sarò sempre saggio e non mi occuperò nè degli uomini nè del loro avvenire....
   Eppure il sogno era bello e certo io non lo cederei neppure per un'oncia di quella memoria di buona qualità che fa così celebri i filosofi positivisti.
   Ma son cose che bisogna tener nascoste, come tutte le grandi gioie, o sussurrarle soltanto a qualche spirito meditabondo, che ha avuta la rivelazione dell'inesprimibile ed ama i giuochi inutili e graziosi.
   Soltanto a questi spiriti liberati, che forse stan tramando in silenzio una congiura contro la ragione, io oso donare questo mio strano sogno, ch'è al di là della vita e al di là della conoscenza.


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