Pubblicato in: Il Regno, anno I, fasc. 3, pp. 11-13
(11-12-13)
Data: 13 dicembre 1903
pag.11
pag.12
pag.13
11
Herbert Spencer è l'esempio più strepitoso del come si possa oggi, nel mondo occidentale, venire in fama di grandi filosofi senza fare filosofia. Esempio che rimarrà classico nelle storie e si presenterà come mistero ai più sottili psicologi futuri, i quali, vedendo da lontano i caratteri essenziali della nostra età, concluderanno forse col detto tradizionale dell'orbo che si fa re, poichè vedranno che difficilmente una filosofia che fosse stata davvero filosofica avrebbe potuto divenir popolare in un tempo così antispeculativo come quello che ci ha di poco preceduti. Herbert Spencer dette all'Europa che si educò dal 1870 al 1890 quelle idee generali ch'erano adatte a coloro che non si contentavano di starsene rinchiusi sol nei laboratori e a quegli spiriti letterari che amano ricoprire di qualche fronzolo ideologico la gracilità del loro dilettantismo universale e superficiale.
Fu il filosofo che si meritarono i non filosofici positivisti che tennero il campo nel tempo della sua massima fioritura, e, com'essi vanno sminuendo di numero e d'audacia nell'avanzarsi delle nuove correnti idealistiche che tendono a ridare il lor pregio alle cose superiori, così la sua morte corporale sarà seguita dalla sua morte spirituale. Dopo essere stato un signore del tempo, un representative man, egli finirà coll'essere un nome, un ricordo e un documento. Dopo aver seppellito il suo cadavere terrestre, seppelliremo per sempre il suo cadavere teorico.
Molto tempo occorrerà ancora innanzi che gli storici si avvedano che non tutta la filosofia sta nei libri. Innanzi alla teoria, vive, sente e si forma, l'uomo che la farà. In lui, e non nelle dubbie genealogie dialettiche, sta il segreto dei pensieri che verranno. Ora lo Spencer ci appare, fin dai primi anni, quello che sarà fino agli ultimi.
Con una frase sola io spero di spiegare l'origine di tutta la sua voluminosa filosofia. Egli è un inglese, meccanico, vissuto tra uomini religiosi e radicali.
Inglese soprattutto, cioè individualista e pratico, uomo che tende alla distinzione, alla differenziazione. alla separazione, che ha soprattutto delle preoccupazioni immediate, sociali, che comincia la sua carriera filosofica con le Letters on the Proper Sphere of Government (1842) e finisce colle riflessioni sull'imperialismo e sull'educazione di stato nei Facts and Comments (1902).
Meccanico cioè semplicista, amante dell'ordine, della chiarezza, che gli fa scegliere delle soluzioni semplici e perciò superficiali, e che, per timore di complicazioni, gli fa cacciare in bando in una misteriosa città delle nuvole (Unknowable) il mistero del mondo. Figlio di matematico, che ha fatto per otto anni l'ingegnere sulla linea Londra-Birmingham, che ha inventato un velocimetro e ha trovato dei teoremi di geometria, egli porta nella speculazione le abitudini unitarie e semplificatrici di chi è uso a trattare con forze e con macchine.
L'aver vissuto in ambienti di provincia, ove le questioni religiose erano oggetto di continue discussioni, avendo avuto un padre quakero, una madre vesleyana e uno zio curato, egli fu colpito dall'importanza del problema religioso e per evitare ogni inutile lite e divisione sognò dì conciliar la scienza e la fede nel suo fantastico inconoscibile, rifugio estremo e pericolante dell'indimostrabile. Non potendo metter pace in famiglia gli venne voglia di metterla in filosofia.
Ma i suoi parenti oltre che religiosi erano radicali, e il discutere che facevano tra loro di problemi sociali,
12
con libertà grande di spirito, e informandosi a quello schietto individualismo ch'é mia delle grandi forze della borghesia britannica, giovò a rivolgere la mente dello Spencer alla sociologia e a fargli presentare soluzioni diverse da quelle collettiviste che dominarono ai nostri giorni sul continente.
Così questo inglese, rappresentante della sua razza e del suo tempo, tentò di giustificare con larghe teorie i suoi istinti e le sue qualità. Per farlo dovette cadere per forza nell'inconcepibile e nel superficiale. L'unica cosa che poteva insegnare a noi latini, l'individualismo, fu la meno seguita e in Italia egli ebbe negli ultimi anni perfin la sorpresa di vedersi proclamato preparatore del socialismo da un antifilosofo e da un antindividualista che si chiama Enrico Ferri.
S'è creduto fino a ora che il carattere principale dell'attività filosofica sia la ricerca dell'universale e in questo senso può dirsi filosofo anche lo Spencer. Ultimo dei grandi sintetici egli volle riunire nella sua mano tutto il mondo. Ma le sue dita furori troppo lievi e deboli a tanta preda, ed oggi si comincia a tenere altra via per possedere la realtà. La ricerca del profondo, dell' intimo, del particolare, del nuovo sostituirà il vano universalismo dei filosofi vecchio stile. Nonostante è da ammirarsi la vastità del sogno, e con tanta maggiore condiscendenza pensando ch'è l'unica lode che uno spirito nuovo, rivolto ad altri cammini, possa concedergli.
Vastità che gli venne forse da non esser stato troppo piegato e specializzato nelle scuole e nei collegi, dall'aver rifiutato di recarsi all'università per darsi allo studio personale, e dall'aver preferite le sue meditazioni solitarie e le sue fatiche autodidattiche alle istrettezze dei banchi scolastici e agli inutili certificati ed onori accademici.
Malgrado, però, questa favorevole educazione spirituale non fu nè innovatore nè inventore. Delle idee più famose che ha messe in circolazione nessuna è sua: l'inconoscibile è un adattamento del noumeno di Kant e dell'incondizionato di Hamilton e di Mansel; l'evoluzione gli fu suggerita dalle teorie geologiche del Lyell e da quelle biologiche del Lamarck, senza contare gli innumeri precursori dai Greci in poi; il biologismo sociologico è d'origine aristotelica; la sua esclusione del soprannaturale è dovuta al Comte; le sue critiche individualiste contro lo stato erano già implicite in Max Stirner.
Egli fu così anche in fatto di teorie, un raccoglitore, e come in fanciullezza faceva collezione d'insetti, così, da vecchio, fece raccolte di fatti sociologici, più o meno dubbi, per mettere a sostegno delle sue frettolose generalizzazioni. Fu un collezionista non troppo scrupoloso di stampelle per far camminare vecchie e nuove confusioni.
La prima, massima e imperdonabile, fu quella dell'inconoscibile. Non posso qui rifare una critica estesa di questa stupenda contraddizione: del resto, fra noi, l'ha fatta assai bene Roberto Ardigò. Ma basta pensare all'enormità di credere all'esistenza di una cosa che si dice di non conoscere, e della quale s'indica invece l'ufficio limitativo e conciliatorio. Conoscere ed essere son sinonimi: si chiama esistente ciò ch'è noto, e non si può concepire come reale una cosa che in nessun modo si sa o si può sapere. Ed è poi sommamente strano che di questa cosa ignota e irreale si faccia la spiegazione e la causa di tutto, in modo che si può ripetere coll'arguto Shadwort Hodgson: trovate una cosa di cui non si sappia assolutamente nulla e quella vi spiegherà tutto.
La dottrina dell'evoluzione è più famosa ma non sembra più solida. Anche non volendo giovarsi delle molte critiche che oggi si muovono a quella fortunata generalizzazione anche nel campo biologico (ricorderò solo quelle ultime di Kassowitz e di von Wettstein e quelle meno recenti di Weissmann e di Nietzsche) è bene si sappia che oggi, svaniti i fuochi dei primi entusiasmi in cui dell'evoluzione si faceva insieme un'arma contro la religione e un talismano à tout faire, si dà ad essa un valore infinitamente minore dì quello che il volgo indotto o semidotto continua ad attribuirle.
È nient'altro che una formula comoda, per rappresentarci come potrebbero essere andate le cose, è una generalizzazione ingegnosa la quale è più descrittiva che esplicativa. Tutta l'evoluzione, fatta per sconfiggere il teleologismo, lo include da cima a fondo, e anzi l'unico modo per darle una maggiore profondità è di farci entrare, come hanno ben compreso il Cope e il James, il fattore psichico il quale é essenzialmente teleologico, perché caratterizzato dall'adattamento dei mezzi a un fine. L'evoluzione non ha fatto che togliere la teleologia dal seggio celeste per metterla nell'individuo o nella specie: stato uno sgombero e non una distruzione. Non è riuscita a far trionfare quello ch'era il massimo de' suoi fini, il perfetto meccanicismo.
Formula comoda, che obbedisce a quel principio di convenienza mentale che ci fa muovere dal semplice per andare al complesso mentre uscir esperienza sensibile avviene spesso il contrario ed il semplice appare come ultimo risultamento della primitiva complessità, l'evoluzione era disadatta a spiegare tutto l'insieme dell'esperienza ancor più che l'insieme degli organismi. Conveniva risalire, per farne la chiave di volta del mondo, ai primi principii e all'infinito. Toglierle perciò quei caratteri di spiritualità e di individualità che riuscivano a renderla più intelligibile in biologia. Finché si trattava di animali forniti di personalità e di psiche le cose potevano essere più comprensibili. Ma quando si accinse a ridurre i supremi fattori del conoscibile, la Forza e la Materia, infinite ed eterne, lo Spencer fece assai parole senza spiegare alcuna cosa. Il suo passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo é affermato e non dimostrato. Non si capisce come sia avvenuta in un mezzo omogeneo la prima eterogeneità: Due porzioni identiche come posson far sorgere il diverso? Questo problema, in cui tutto il sistema è contenuto perché si muove dalla differenziazione, non è stato risolto dal filosofo inglese.
Egli ha prese le due vecchie entità metafisiche, ha fatto far loro sul palcoscenico comico qualche vecchia danza, l'ha fatte unire, disunire, dividersi, variare e dissolversi ed ha finito con un duetto dell'evoluzione che è l'integrazione della materia con dissipazione di moto e della dissoluzione che è assorbimento di moto e disintegrazione di materia. Tutto questo è molto ordinato e molto simmetrico; soltanto non dice nulla ed ha il difetto di servirsi dì principi scientifici non dimostrati quali la conservazione dell'energia e la legge di reversibilità. Volendo fare della filosofia positiva ha finito colle inconcepibilità della metafisica e volendo spiegare ci ha gettati nel labirinto di molteplici misteri.
13
Che dire della sua teorica sociologica ove sopra su parallelismi coi corpi organici egli fonda teorie che già si vanno abbandonando per la loro superficiale fragilità? o della sua psicologia a base associazionista, nella quale l'interno è fatto copia dell'esterno e alla problematica eredità vien confidata la generazione dell'a priori?
Non vale più incrudelire, per ora, con questo morto. Si può lodarlo piuttosto del suo individualismo, il quale per quanto ristretto alla critica dello stato senza estendersi alle tirannie sociali, e per quanto generatore in lui di fantastiche civiltà altruiste ed anarchiche, pur gli ha fatto scrivere alcune belle pagine contro il minacciante, ingreggiamento collettivista. Soltanto egli non fu individualista nell'opera, ché non seppe dare nè idee sue nè fortemente improntate della sua persona e del suo stile.
Aristotele senz'ali, sperduto in un tempo di grandi affari e di piccole menti, egli ha dato quello che poteva e doveva dare: una metafisica di conciliazione e un sistema da naturalisti. Con lui non muore soltanto un uomo ma si spenge una filosofia.
(1) Breve saggio, non documentato, ch'è il riassunto di altro più ampio che sto preparando per il mio Crepuscolo dei Filosofi. ↑
◄ Indice 1903
◄ Il Regno (Firenze)
◄ Cronologia