Pubblicato in: La Festa, anno I, fasc. 1, pp. 3-4
Data: dicembre 1923
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Era necessario davvero far questa rivista nuova?
Noi abbiamo risposto di si, col fatto stesso, ma desideriamo che diano la medesima risposta i nostri lettori, tutti, di tutta Italia.
Non possiamo pretendere di convertirli alla nostra opinione (che potrebbe essere interessata) fin dal primo numero, ma chiediamo a loro una grazia: di seguitare a leggere la Festa. E li avvertiamo onestamente del pericolo: può accadere che dopo qualche settimana da lettori diventino amici, e che non possano più fare a meno di queste pagine.
Ambizioni, queste, perdonabili in uomini di fede e di buona fede, le quali non intaccano la necessaria umiltà: tanto più che proprio agli umili riescono, a volte, le imprese dove falliscono gli orgogliosi.
Nostro obbligo, per oggi, è dire in breve che cosa abbiamo pensato di fare.
Ripetere che vogliamo creare una pulita e bella « rivista per le famiglie » è dir nulla e dir troppo. Ciascuno di noi, più o meno, appartiene a una famiglia, come ascendente o discendente, e una « rivista per le famiglie » vuol dire, all'incirca, « rivista per tutti ». E l'intenzione nostra, — la sincerità ci salva dal ridicolo — sarebbe proprio di fare una « rivista per tutti », ma nel senso di non farla come tutti la fanno o come i più la vorrebbero. Una rivista per tutti — riducendo all'elemento minimo comune i bisogni degli uomini comuni e minimi — non dovrebbe contenere che buffonate, segreti di cucina, consigli di borsa e novelle di sottana e pugnale: e noi intendiamo, per l'appunto, far tutto il contrario.
« Famiglia », nel vecchio dizionario onesto, significa affetto puro, bontà semplice, riposo raccolto, bellezza di crescenti speranze, memorie di contentezze abbellite, di dolori che il ricordo sfuma in gioie. Queste ricchezze, oggi sempre più sperperate e sprezzate ìn una generazione che odia la casa e vive nei luoghi pubblici, noi vorremmo mantenerle, salvarle, e anche, contro l'umor dei tempi, glorificarle.
Ma il piccolo universo della casa ha pur bisogno dell'universo ch'è fuori: non soltanto per contertare il corpo ma anche per occuparne lo spirito.
La malattia del « voler sapere » ciò che gli altri fanno, come vivono, e in quali forme nuove si manifesti la vita dei prossimi e dei lontani, è malattia, sì, ma ormai talmente
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padrona dei migliori che il non volerla soddisfare invece di guarirla l'aggrava.
Noi vogliamo, dunque offrire alle famiglie vere, non ancor divenute semplici cooperative per i pasti quotidiani, — e per fortuna in Italia, ve n'è sempre milioni — una veduta settimanale del mondo, che sazi la curiosità senza infettare l'anime.
La Festa, badiamo, non sarà una rivista di puritani predicanti: tutt'altro. Festa vuol dir gioia e premio, sollevazione di spirito e cordialità generosa. E', per noi, il giorno del Riposo d'Iddio: il giorno nel quale Egli affermò che tutto era bene. Ma vogliamo, con tutta la volontà raddoppiata dall'amore, che la Festa abbia in sè, e dimostri d'averla, un'anima. Sarà, prima di tutto, una raccolta ben fatta di letture non noiose, non pedantesche, non sciatte e non smorte, ma non già un di quei soliti guazzetti di articolucci senza sapore e sostanza e di cascami letterari a peso, che si prendon per guardar le figure e si buttan via subito, e si dimenticano prima ancora che cadano nella cesta dei rifiuti.
Di queste riviste, nulle per il contenuto e importantissime per la diffusione, ce n'è, in Italia, più d'una, e, come rami dell'industria di far pagare la carta stampata più di quella bianca, sono veri e propri portenti.
Noi desideriamo, invece, che la Festa non sia il giornale illustrato, dove l'aggettivo sopraffà il sostantivo, e specialmente tenteremo di sfuggire la mera frivolezza, la varietà per la varietà, le ricamature sul vuoto, l'indifferenza morale più pericolosa della franca corruzione.
Noi vorremmo che la Festa fosse, sì, « guardata » - e per questo c'ingeniamo di farla bella - ma che fesse anche letta, letta con piacere e vantaggio, e non soltanto letta ma serbata come si serbano le lettere degli amici, i regali buoni.
Dimostreremo, se ci riuscirà, che vi può esser letizia senza peccato, amore senza rimorso, sapienza senza oscuri sdottoramenti. La Festa non è fatta soltanto da cristiani: ma l'anima che vogliamo darle sarà cristiana e quell'anima sarà meglio capita dai cristiani, e forse aiuterà qualcuno ad avvicinarsi meglio a Quello ch'è, per noi Via e Vita.
Ma i più grandi e sinceri cristiani non son quelli che tutti i momenti hanno sotto la penna i Nomi ineffabili e tutta la fede riducono alla devozione e all'apologia. Un libro mistico può esser sensuale, anche se dedicato alla Vergine: mentre in un altro, dove non sarà mai nominato Gesù, troveremo un tal commosso senso di misericordia verso i dolorosi che vi sentiremo l'ombra divina del Vangelo anche se chi l'ha scritto non ha ancora scoperto d'esser cristiano.
Non è, dunque, la Festa, come alcuno potrebbe supporre, una macchina per far proseliti, ma un leale « ritratto » — scritto e figurato — della vita inquieta degli uomini, fatto in modo da non far consentire al male ma, piuttosto, d'illuminare in sua vera gloria il bene col lume vivo della bellezza, collo splendore di quella « che a Dio quasi è nipote ».
Non sarà Festa soltanto di nome: ma sarà come un dono di pace in mezzo allo scatenamento dei rancori e l'ire, come una spera di sole che interrompe la piattezza dell'ore chiuse e cenerose. Così, almeno vogliamo con lieta ostinazione crearla, felici se potrà, anche da lontano, somigliare all'immagine bella che ci splendeva dinanzi nel balenar del primo sogno.
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