Articoli di Giovanni Papini

1957


in "Gli inediti di Papini":
Solitudine
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXXII, fasc. 208, p. 3
Data: 1 settembre 1957


pag. 3




   La vita è segregazione. Ogni uomo è solo fra gli uomini come la terra è sola in mezzo alle stelle. Ciascun di noi è un mondo chiuso, separato anche nella moltitudine.
   La terra vede i soli, e da loro ha luce e calore, ed è percossa da frantumi di mondi morti, ma non risponde. E sorda, divisa da gorghi di silenzio da tutti gli astri.
   Ma forse le stelle ci parlano e noi non rispondiamo. Forse le costellazioni che s'iscrivono ogni notte sulla pagina del ciclo son messaggi che nessuno di noi sa leggere. Forse i pianeti prossimi chiaman la terra con segni di luce e non hanno risposta. E se vi sono lassù esseri viventi non sappiamo nulla di loro ed essi non sanno nulla di noi. L'universo visibile è un infinito deserto cosparso d'eremi senza corrispondenze e rapporti. L'umanità è sola dinanzi agli abissi seminati di fuochi taciturni. Anche se gli uomini levassero tutti insieme un grido verso l'alto, così potente che la terra ne rintronasse, nessuno l'ascolterebbe, fuor che Dio. Il genere umano è un armento ammassato sopra un atomo rotante, confinato in una disperata solitudine.
   E ogni uomo è solo tra gli uomini come la terra nell'esercito stellare. Anche noi vediamo le forme degli altri uomini e dai più vicini riceviamo luce d'intelligenza, calore d'amore e anche le offese e le paure del male. E ognuno di noi con voci e segni tenta di comunicare agli altri qualche sillaba del suo pensiero, qualche gesto delle sue passioni.
   Ma ogni uomo è sempre, per tutti gli altri, un mistero appena sfiorato, un simulacro indecifrabile, un problema. Nessuno conosce l'intera verità di sè stesso, nessuno sa esprimere in nessun linguaggio quel tanto che ne conosce, nessuno sa comprendere nel giusto senso le parole che l'altro si sforza di pronunziare. E quelli che tentano di comunicare il proprio segreto son rarissimi — perchè il viso vero dell'anima è quasi sempre orribile e i più lo nascondono. Molti non tentan neppure di manifestare il loro più profondo segreto perchè temono di rattristare o di spaventare o di non esser capiti o d'esser compresi in un senso che sarebbe a tutti un pericolo, o perchè il loro messaggio è talmente nuovo ch'è indicibile in linguaggio umano. Sicchè nessuno conosce il certo essere di nessun altro, e ogni colloquio, se non concerne cose visibili o atti materiali e comuni, è un'alternanza di monologhi. Siamo come tanti muti separati da cristalli che si affannano a farsi intendere con gesti poveri e confusi. Anche negli attimi più struggenti dell'amore, quando l'uomo e la donna si consumano per divenire un'anima unica in un corpo unico, ciascuno di loro finisce col darsi per vinto dinanzi all'alterità dell'amato.
   Eppure c'è una speranza di sortita. Tre sono gli amori: l'amore di sè, l'amore fra l'uomo e la donna, e l'amore per l'amore: Egoismo, Eros e Carità.
   Il primo ci condanna per sempre chiusi e solitari, l'altro è velleità ardente ma insufficiente d'uscir da noi stessi, l'ultimo congiunge cuore a cuore per una strada che passa attraverso l'incendio d'Iddio.
   Siamo soli perchè non sappiamo amare. Amiamo negli altri il nostro piacere, la nostra utilità, il nostro desiderio. I meno vili amano la forma, la bellezza, qualche segno di virtù e di sovranità. Ma chi ama soltanto per amare, senza calcolo di bene proprio, senza speranza di restituzioni e senza repugnanza di miserie, deformità, abiezioni e ferocie? Chi ama con tutto il sangue del cuore, con tutto l'abbandono dell'anima, dimenticando sè sino alla negazione? Chi ama il povero per misericordia della sua povertà, il ricco per pietà della sua ricchezza, l'infermo per compassione delle sue piaghe, l'omicida per commiserazione del suo delitto?
   Chi non dà se stesso è come se non desse nulla. Soltanto chi offre tutto sè e non vuol contraccambio è tutt'uno col fratello, entra senza difficoltà nell'anime più otturate, ed è inteso e intende senza parole.
   Ma l'uomo non può amare l'uomo in modo così perfetto se Dio non è intermediario. Anche il santo non potrebbe donar tutto sè stesso se avesse intorno soltanto uomini al par di lui. La creatura non si degna di restituire che al Creatore, non si piega che dinanzi a Colui ch'è al disopra di tutti. E solamente quando s'è offerta a Dio riesce, per amorosa obbedienza, ad abbandonarsi agli altri.
   Il santo non è più solo perchè ha Dio con sè. Nel deserto terrestre un solo dialogo è possibile: quello tra l'anima e Dio. Ma vi son milioni d'anime che non lo conoscono, e milioni che non l'ascoltano, e milioni che non sanno intenderlo, e milioni che non l'ubbidiscono, e milioni che non l'amano. E allora, non sapendo parlare con l'Unico che possa comprenderle, non possono neppur conversare coll'altre anime. E l'uomo, avendo rifiutato l'Eterno Compagno, rimane irremissibilmente solo. Dio è il centro focale di tutti gli spiriti: senza di Lui non v'è comunione tra i separati e chi l'abbandona sarà sempre straniero in mezzo ai fratelli.


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