Notturno
Pubblicato in: Il nuovo Corriere della Sera, anno LXXXII, fasc. 214, p. 3
Data: 8 settembre 1957
pag. 3
Il sonno è quasi nostalgia della vita uterina; desiderio della vita di prima la nascita: vita più saggia di quella presente e tanto meno affannosa. La vita non sarebbe sopportabile senza questa quotidiana dimissione dalla vita. Il sonno non è, come pensavano gli antichi, fratello della morte. N'è il morire, farnetichi pure Amleto, è dormire. Una somiglianza esterna non è identità.
Addormentarsi è un rischio, perchè la morte non ha ore prefisse, e nessuno è sicuro del risveglio. Ma nel sonno il rischio non è maggiore che negli altri stati delta vita ed è più nel vero chi lo vede «messaggero silenzioso degli infiniti segreti» di colui che lo chiama «avventura sinistra di tutte le notti».
Il sonno non è sorso o acconto di morte, ma neanche propriamente vita. E' piuttosto una tregua della vita, o meglio un compromesso felice tra la paura della vita e il terrore della morte. Perciò lo chiamano gli addolorati, come placamento dei mali, oblio delle pene, balsamo dell'anime inferme essendo, come dice Macbeth, rispondendo ad Amleto, «quello che invita al secondo banchetto della vita».
Due sono i modi d'uccidere il sonno: il rimorso e la preghiera. L'assassino ha sradicato l'ultimo avanzo dell'innocenza prenatale e non può tornare alla madre. Il santo ha riconquistato a poco a poco la sua innocenza e non ha bisogno di ricercarla nel sonno. Tanto s'è purificato quanto il delinquente s'è insozzato; e sente meno di noi la stanchezza della vita perchè la vince colla rinunzia nè ha bisogno di scordar le pene, perchè l'amore gli fa dolci anche i tormenti e così può godere nelle sue notti la conversazione d'Iddio.
Il sonno è per il mediocre, per l'infelice che non conosce ancora la sua, colpa: cioè per quasi tutti gli uomini. E per questo, forse, i dormenti ispirano paura o malinconia, come vinti che s'abbandonano, fasci insensibili di tepida materia, ciechi senza difesa. La faccia, in alcuni, è mesta come per un dolore che non sanno più rattenere; in altri idiota o dura, come se la maschera della veglia fosse caduta insieme all'altre vesti. E tutte quelle palpebre calate, quelle bocche dischiuse e rantolanti, quelle fronti senza luce!
T'è mai accaduto di passar di notte, solo per le vie d'una città, coll'anima infocata e smaniosa d'amore, sveglio, inquieto, presente a te stesso in una commossa felicità? Sei passato per quelle strade appena schiarate da un po' di luna o di lumi, tramezzo a sbarramenti, incrociature e obliquità d'ombre, per quelle strade lunghe, eterne, diritte, dove non incontri che gatti a frugar tra le spazzature e non senti che la suoneria di una pendola, che seguita a denunziare, in quel vuoto silenzio, l'eguaglianza dell'ore? E in mezzo a quelle due file infinite di case alte, buie, mute, chiuse, murate, non hai provato, te vivente, un'ira mista di pietà, pensando a tutti quei corpi distesi li dentro, stanza sopra stanza, piano sopra piano, come tanti cadaveri nei colombari d'un cimitero? Non hai sentito una compassione immensa e un immenso disgusto a raffigurarti quelle migliaia di dormenti appena galleggianti sulle tenebre del nulla, tutti quei corpi, che fiatano e russano nel buio delle stanze e nell'incoscienza, supini come bestie stracche, accovati come bestie paurose, aggomitolati come bestie freddolose, nascosti come bestie vili?
Non hai provato in quelle notti d'insonnia ardente e vagabonda, ribrezzo, tristezza, vergogna di quelle possibilità di vita annullate dalla rinunzia notturna? Un terzo almeno della nostra vita ci fa simili agli animali, un altro terzo simili ai morti.
Forse per l'oscuro rimorso della diserzione quotidiana il risveglio ci sembra un rinascimento, una riconquista della vita vera. Il riposo ha fatto scordare le ansie, le difficoltà, le ferite della vigilia e il ricominciare ha un'ardita dolcezza, quasi l'infanzia del giorno prolunghi, come la nascita, la calma fetale interrotta in quell'istante. Il pericolo della morte è sospeso: pensiamo alle migliaia di uomini che son morti nella notte, qua e là per il mondo, e si prova quasi lo stupore di poter godere il sole che risuscita la terra in una luce di novità e di speranza. Per qualche istante, in questo passaggio tra il sonno e la veglia, tra la vita materna e la vita orfana, sentiamo il brivido d'una scoperta: che ciascuno di noi è un miracolo unico nel perenne miracolo dell'universo.
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